30 gennaio 2008

Web: Ue, no obbligo diffusione dati | Scienze e Tecnologie | ALICE Notizie

Web: Ue, no obbligo diffusione dati | Scienze e Tecnologie | ALICE Notizie

(ANSA) - BRUXELLES, 29 GEN - La Ue non impone, per garantire la tutela del diritto d'autore, l'obbligo di divulgare i dati personali in un procedimento civile. E' quanto sottolinea la Corte di giustizia Ue del Lussemburgo la quale si e' pronunciata nella vicenda che ha visto la societa' spagnola Telefonica rifiutare di comunicare l'identita' e l'indirizzo delle persone alle quali fornisce un servizio di accesso a internet.

G8, molotov alla scuola Diaz: rinvio a giudizio per due funzionari di polizia Corriere della Sera

G8, molotov alla scuola Diaz: rinvio a giudizio per due funzionari di polizia Corriere della Sera

ANNULLATA LA SENTENZA DI PROSCIOGLIMENTO - In un primo tempo i pm avevano chiesto l'archiviazione dall'accusa di falso per i due funzionari ma la richiesta non era stata accolta dal gip Lucia Vignale che aveva ordinato ai pm l'imputazione coatta. Successivamente il gup Adriana Petri aveva emesso la sentenza di non luogo a procedere per entrambi. I pm avevano fatto ricorso in Cassazione la quale aveva annullato la sentenza di proscioglimento. All'udienza di martedì mattina davanti al gup Roberto Fucigna non erano presenti né Troiani (difeso dagli avvocati Alfredo Biondi e Giorgio Zunino) né Gava, assistito dagli avvocati Marco Valerio Corini della Spezia ed Enrico Marzaduri del foro di Lucca.

Sicilia On Line: La Sicilia in un Click! - PALMA DI MONTECHIARO: UCCISE IL CUGINO, CONDANNATO A 12 ANNI

Sicilia On Line: La Sicilia in un Click! - PALMA DI MONTECHIARO: UCCISE IL CUGINO, CONDANNATO A 12 ANNI

PALMA DI MONTECHIARO: UCCISE IL CUGINO, CONDANNATO A 12 ANNI
PALMA DI MONTECHIARO (AGRIGENTO) (ITALPRESS) - Dodici anni di carcere per avere ucciso il cugino. La sentenza di condanna e' stata emessa oggi dal gip del tribunale di Agrigento, Luigi Patronaggio, nei confronti di Salvatore Sambito, 68 anni di Palma di Montechiaro, accusato di avere ucciso nel giugno del 2006 Domenico Pace, di 82 anni. Tra i due esistevano dissidi legati ad un presunto furto di un fucile. Inoltre Sambito riteneva il cugino responsabile di avergli teso un agguato, ferendolo a colpi di pistola. Cosi' per vendetta lo avrebbe ucciso davanti al cimitero di Palma di Montechiaro. La pubblica accusa ha chiesto una condanna a 21 anni di carcere. Il processo si e' celebrato con il rito abbreviato. (ITALPRESS). 29-Gen-08 21:40 NNNN

FORLI' - Mago della Sfinge, sentito l'ex fidanzato della vittima

FORLI' - Mago della Sfinge, sentito l'ex fidanzato della vittima

FORLI' - Seconda udienza davanti al collegiale per Girolamo Mazzoccoli, in arte il “Mago della Sfinge”, accusato di violenza sessuale, lesioni volontarie gravissime tentate e consumate, truffa ed estorsione. Numerosi i testimoni sentiti, tra cui l’ex fidanzato della vittima, la giovane donna che, per prima ed unica, denunciò Mazzoccoli, oggi 57enne, nel 2003, e l’ex convivente del sedicente mago, insieme a diverse ragazze che avevano orbitato attorno a lui.

Donne che hanno deciso di non denunciarlo, ma che sono state ascoltate martedì dai giudici, sempre a porte chiuse, come durante la prima udienza, lo scorso 23 ottobre. Tra le testimonianze rilevanti anche quella di un medico, perito del tribunale. Mazzoccoli, infatti, dal 1996 è malato di Hiv e il sostituto procuratore Alessandro Mancini è convinto che sia stato lui, ben sapendo della sua malattia, a contagiare, attraverso rapporti non protetti, la sua “pupilla”.

E’ un processo particolarmente delicato e complesso che rischia la prescrizione e vede coinvolte anche altre tre persone, un collaboratore del “santone” e due genitori, sospettati di aver permesso al sedicente mago di avere rapporti sessuali con la figlia minorenne. Durante la scorsa udienza era stata sentita lei, oggi ventenne, poco dopo la deposizione della teste chiave.

"Mi disse che, se non avessi fatto come diceva lui, sarei morta", aveva raccontato la donna nell'ottobre del 2003, trovando il coraggio di raccontare la sua storia dopo che l'uomo era finito in manette grazie ad un'operazione della Squadra Mobile. Secondo le accuse, il mago richiedeva prestazioni sessuali (e molti soldi) alle sue clienti in cambio della ‘salvezza” dal male. Ma le avrebbe anche minacciate anche: se non stavano al gioco, sarebbero rimaste paralizzate o addirittura rischiavano la morte.

Tra i clienti anche questa ragazza che, per dieci anni, ha subito l’influenza di Mazzoccoli e che da lui, malato di Hiv dal 1996, potrebbe essere stata contagiata. Una malattia terribile con cui la donna è costretta a convivere da 11 anni. E' da questo forte sospetto che l'uomo è anche accusato di lesioni gravissime, dato che non esiste un reato ad hoc. Questi rapporti non sarebbero stati costretti con la forza, ma indotti dalle condizioni di inferiorità psichica della vittima. Questo dice l’accusa.

Lei aveva 21 anni quando ha conosciuto il Mago della Sfinge, nel 1991, ed era giovane e vulnerabile. Un familiare stretto stava morendo di una malattia incurabile e la sofferenza per questa possibile perdita l’ha gettata tra le braccia dell’uomo che le prometteva la salvezza per la persona cara. E’ stato anche grazie al coraggio di questa donna, difesa dagli avvocati Filippo Poggi e Maria Domenica Viggiani, che la matassa di questa terribile vicenda si è sbrogliata.

Ha denunciato il Mago agli inizi del 2003, perché, come ha raccontato: “Non farlo sarebbe stato come colludere con l'uomo che ha infierito contro di me e contro la mia vita”. Ma non è stato facile liberarsi dalla morsa del “santone” che “prometteva salvezza e salute, sottostando a riti a base di sesso e pornografia”.

Ma è stata l’unica. Non è facile denunciare questo tipo di crudele raggiro. E’ difficile perché scattano la “vergogna, il senso di colpa e la paura, anche quella del giudizio”, aveva raccontato la vittima. Ad assistere Mazzoccoli c'è l'avvocato Menotto Zauli, nominato fin dal giorno dell'arresto, nel 2003. Prossima tappa il 15 aprile.

lisa tormena

29 gennaio 2008

Il Tribunale di Roma assolve il file sharing: il P2P non è reato penale, semmai torto civile contro il diritto d’autore

Il Tribunale di Roma assolve il file sharing: il P2P non è reato penale, semmai torto civile contro il diritto d’autore

“In assenza di una legislazione che crei una fattispecie ad hoc, non appare possibile dare rilevanza in questa sede ad un fenomeno assai diffuso, di difficile criminalizzazione ed avente accertamenti quasi impossibili in termini di raccolta della prova”.

Con questa motivazione, il pubblico ministero di Roma Paolo Giorgio Ferri ha richiesto e ottenuto l’archiviazione di un’inchiesta sul peer-to-peer, lo scambio di file audio-video su internet.

Il Pm non ha ravvisato – come si lamentava nella denuncia che ha portato all’apertura del fascicolo – la violazione della norma sulla tutela del diritto d'autore (art.14 legge 248/2000) dal momento che lo scambio di file sulle reti P2P non riguarda solo copie illegalmente ottenute di materiali coperti da diritto d’autore, ma può riguardare anche “originali lecitamente acquisiti”.

Il giudice ha quindi rilevato che non sempre questi scambi avvengono per fini di lucro e molto spesso vengono effettuati “estero su estero” e non attraverso dei server centrali ma direttamente fra utenti.

Non si tratta quindi di un reato penale ma semmai di un “torto di natura civilistica per i diritti d'autore”.

Gli Internet provider, sottolinea ancora il Pm, non possono essere ritenuti responsabili di reati commessi dagli utenti che utilizzano le loro reti, perchè vige il rispetto della net neutrality.

I siti internet incriminati - www.bearshare.com, www.emuleitalia.net e www.bittorrent.com - in queste circostanze “si limitano ad autenticare l’utente che viene successivamente smistato verso altre reti ibride e decentralizzate in tutto il mondo” e diventa quindi estremamente complicato identificare gli utenti che utilizzano queste reti.

Anche quando questo avviene, in mancanza di un coordinamento globale delle legislazioni in materia, il lavoro investigativo portato avanti in un determinato Paese viene vanificato dal fatto che “…la giurisprudenza non sempre si è espressa contro coloro che scaricano o consentono lo scarico di filmati o altri prodotti protetti dal diritto d’autore”.

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, Carla Santese, ha accolto la sentenza sostenendo che “…appaiono pienamente condivisibili le argomentazioni esposte dal Pm nella richiesta di archiviazione”.

Immediato l’intervento della Fimi, la Federazione Industria Musicale Italiana, secondo cui “…più che affermare che il ricorso al peer-to-peer non è reato, in realtà la decisione del Gip di Roma dice che non è possibile perseguire i siti web che fanno riferimento ai servizi P2P”.

Resta però reato, sottolinea quindi il responsabile Relazioni esterne della Fimi, Daniele Selvaggio, l’attività di file sharing dei singoli utenti, punibile in base alla normativa sul diritto d’autore agli art. 171 a bis e 171 ter a bis, “…che prevede sanzioni penali a carico di tutti coloro che immettono abusivamente fonogrammi tutelati in un sistema di reti telematiche; nello specifico una multa di 2.000 euro per coloro che condividono senza scopo di lucro e una multa fino a 15.000 euro con possibile pena detentiva fino a 4 anni per coloro che invece condividono a scopo di lucro”.

La sentenza ribadisce quanto già stabilito dal Tribunale di Roma in merito al famigerato caso Peppermint.

La vicenda è nota. Peppermint, una piccola casa discografica tedesca, si è rivolta al Tribunale civile di Roma chiedendo che questo ordinasse ad alcuni operatori di telecomunicazioni, fornitori del servizio di accesso a Internet al pubblico, i dati degli utenti che avevano messo a disposizione attraverso programmi peer-to-peer brani musicali protetti da diritto d’autore, diritto di cui Peppermint medesima era titolare.

In prima battuta, salvo una eccezione rimasta isolata, il Tribunale civile di Roma ha accolto la domanda di Peppermint ed alcuni operatori telefonici sono stati costretti a consegnare i dati anagrafici di migliaia di propri clienti. Ciò ha generato un effetto a catena, ed altri titolari di diritti di proprietà intellettuale (produttori discografici e di software) hanno rivolto al Tribunale di Roma – anch’essi con successo – le medesime domande di Peppermint.

La risposta dei Giudici del Tribunale civile di Roma, non si è fatta attendere: ed infatti, con una importantissima ordinanza emessa in uno dei procedimenti cautelari attivati dalla Peppermint nei confronti di Wind, il Tribunale di Roma ha riconosciuto la prevalenza del diritto alla riservatezza, quale valore fondamentale della persona, rispetto a richieste di soggetti privati, per finalità commerciali connesse al diritto di autore.

Contestualmente, in un giudizio pendente innanzi la Corte di Giustizia Europea, relativo ad un caso analogo a “Peppermint”, sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato generale Juliane Kokott, secondo cui sarebbe compatibile con il diritto comunitario, il fatto che gli Stati membri escludano la comunicazione di dati personali sul traffico, quando è richiesta ai fini dei procedimenti civili per violazione del diritto d’autore.

Soddisfatto il giudizio di Fiorello Cortiana, esponente della Consulta sulla Governance di Internet, secondo cui ancora una volta “…il Tribunale di Roma ha molto saggiamente distinto le responsabilità personali delle azioni messe in atto nello spazio virtuale di Internet da quelle dei servizi e delle applicazioni per la navigazione in rete”.

Cortiana si augura che la decisione del tribunale di Roma “faccia giurisprudenza e metta fine ai tentativi oscurantisti e impraticabili di precludere la Neutralità della Rete, favorendo invece gli sviluppi delle pratiche innovative virtuose come l’introduzione del fair use e l’uso delle licenze Creative Commons”.
Alessandra Talarico

Privacy: Telecom, Vodafone, H3G e Wind sul banco degli imputati | Blog PMI.it

Privacy: Telecom, Vodafone, H3G e Wind sul banco degli imputati | Blog PMI.it

Cassazione su politico 'buffone' | Top News | ALICE Notizie

Cassazione su politico 'buffone' | Top News | ALICE Notizie

(ANSA)- ROMA, 28 GEN- Se un politico non mantiene le promesse fatte agli elettori, non e' reato dargli del 'buffone'. Non si tratta infatti di critiche alla persona ma all'operato politico-amministrativo. La Cassazione ha annullato cosi' con rinvio una sentenza di condanna per ingiuria, del tribunale di Poggio Mirteto, per un cittadino che durante un'assemblea pubblica, aveva interrotto il discorso del sindaco chiamandolo 'ridicolo e buffone'.

Ahmetovic condannato a tre anni Corriere della Sera

Ahmetovic condannato a tre anni Corriere della Sera

25 gennaio 2008

TERRORISMO/ BR, TRIB. SORVEGLIANZA: NIENTE DOMICILIARI A BANELLI | Cronaca | ALICE Notizie

TERRORISMO/ BR, TRIB. SORVEGLIANZA: NIENTE DOMICILIARI A BANELLI | Cronaca | ALICE Notizie

Roma, 24 gen. (Apcom) - Il tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l'istanza per la concessione della detenzione domiciliare a Cinzia Banelli, la ex 'compagna So' delle Nuove Brigate rosse, responsabili degli omicidi di Marco Biagi e Massimo D'Antona. La richiesta, è stata discussa il 18 gennaio scorso, dai legali della donna dopo l'inclusione nel programma di protezione previsto per chi collabora con la giustizia. Grazie alla confessione della Banelli fu possibile, tra l'altro, per gli inquirenti, accedere al computer palmare di Nadia Desdemona Lioce, nel quale il capo dell'organizzazione terroristica teneva l'intero archivio delle Br.

Il tribunale di sorveglianza potrebbe aver ritenuto precoce l'istanza dei difensori, visto anche che la Banelli ha usufruito di un solo permesso, all'inizio del mese di gennaio. In ogni caso l'istanza potrebbe essere rinnovata tra qualche mese. I legali della donna di sicuro, comunque, non impugneranno la decisione. Il sostituto procuratore generale, in udienza, aveva dato parere favorevole.

La Banelli, che lavorava in un ospedale di Pisa, è stata arrestata il 24 ottobre 2003, sette mesi dopo la cattura di Nadia Desdemona Lioce, presa sul treno Roma-Firenze in seguito alla sparatoria in cui morirono l'agente della Polfer Emanuele Petri e il br Mario Galesi. Poi, la Banelli, nell'estate 2004, dopo aver partorito un figlio mentre era in carcere, cominciò a collaborare con gli inquirenti. Da tempo la donna si trova nella casa circondariale fiorentina di Sollicciano. La Banelli deve scontare 12 anni per il concorso nell'omicidio del giuslavorista Massimo D'Antona e attende di essere nuovamente giudicata, dopo l'annullamento della Cassazione, per il delitto dell'economista Marco Biagi.

No global, requisitoria del pm Chiesti 6 anni per Caruso e Casarini - cronaca - Repubblica.it

No global, requisitoria del pm Chiesti 6 anni per Caruso e Casarini - cronaca - Repubblica.it

COSENZA - Sei anni per Francesco Caruso, parlamentare di Rifondazione comunista, per Luca Casarini, leader delle Tute bianche, e per Francesco Cirillo, "mente" della Rete meridionale del sud ribelle. Sono le richieste di condanna presentate dal pm Domenico Fiordalisi, nel processo contro 13 militanti no global imputati a Cosenza, in Corte d'assise, di associazione sovversiva.

Secondo la pubblica accusa, gli imputati sono colpevoli di aver preparato con scientificità gli incidenti durante il Global forum a Napoli e il G8 di Genova del 2001. "Volevano bloccare i vertici politici ma anche costituire un gruppo sovversivo", ha detto Fiordalisi nella requisitioria durata sette ore. Condanne comprese tra tre anni e sei mesi e due anni e mezzo sono state chieste per gli altri imputati.

Il magistrato ha puntato l'indice contro internet e i siti della contestazione "strumenti informatici che, in questa vicenda, sono stati fondamentali per diffondere idee di violenza. Il programma dell'organizzazione era tale da creare lo scontro e queste forme di resistenza a pubblico ufficiale costituiscono reato".

Le repliche di Luca Casarini e Francesco Caruso non si sono fatte attendere. "E' una requisitoria vergognosa", ha affermato Casarini. "E' basata su un teorema tutto politico che vuole sostanzialmente rendere criminale ciò che ha coinvolto milioni di persone, da Seattle a Genova". Pesanti anche le parole usate da Francesco Caruso, "orgoglioso" di essere accusato di "cospirazione politica": "Fu la stessa accusa rivolta a Pertini e Mazzini. Per questo entriamo in tribunale a testa alta convinti che le nostre battaglie contro le ingiustizie non possono essere fermate da un pm".

L'inchiesta comincia un po' per caso, dalla bomba terrorista di via Brunetti a Roma nell'aprile 2001 e da un volantino di rivendicazione arrivato alla Zanussi di Cosenza. Al centro delle indagini gli aderenti ai Nipr. Invece passa per gli incidenti durante il Global forum di Napoli (marzo 2001). Si concentra sui tre tragici giorni del G8 di Genova, individua "legami degli indagati con i black bloc", analizza le occupazioni nelle agenzie interinali nelle città del sud. Si basa su un lungo lavoro della Digos e dei Ros dei carabinieri che, dai giorni del G8 a Genova, non smettono di filmare, pedinare e infiltrarsi in riunioni e assemblee no global, monitorando centinaia di siti internet, intercettando decine di persone fino alle 359 pagine delle ordinanze di custodia cautelare firmate il 6 novembre del 2002.

(24 gennaio 2008)

» Pietra Ligure, quarantacinquenne accusato di pedofilia patteggia due anni

» Pietra Ligure, quarantacinquenne accusato di pedofilia patteggia due anni

Pietra Ligure. Due anni di reclusione, pena sospesa e scarcerazione per Riccardo Rossini, 45 anni, il tecnico telefonico arrestato nel luglio dell’anno scorso dai carabinieri con l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico e violenza sessuale nei confronti di minore. Ieri, assistito dagli avvocati Andrea Carminati e Paola Allaria, l’imputato ha deciso di patteggiare la pena. Dal momento del suo arresto, per questi mesi l’uomo è rimasto rinchiuso in carcere in quanto il pm che aveva coordinato l’indagine, il sostituto procuratore Ubaldo Pelosi, aveva negato la possibilità degli arresti domiciliari.
I legali difensori hanno spiegato che il loro assistito aveva conosciuto una ragazzina di 14 anni attraverso una chat sul web, aveva tenuto i contatti con lei via internet e messaggini telefonici, quindi l’aveva incontrata nel suo laboratorio. Le perizie mediche sulla parte offesa hanno dimostrato che in quella occasione erano avvenute soltanto effusioni, non un rapporto sessuale.

24 gennaio 2008

La Rassegna Stampa Oua

La Rassegna Stampa Oua

Siglato protocollo tra i presidenti della Corte di appello e dell'Ordine

Patteggiamento sprint e precedenze tra le cause

Accelerata in vista per l'appello nel processo penale a Milano. È il filo conduttore dell'intesa avviata la scorsa settimana tra magistratura e avvocatura, chiamate a collaborare nel segno di una maggiore tempestività del giudizio. In base all'accordo siglato dal presidente della corte d'appello Giuseppe Grechi e dal presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, Paolo Giuggioli, imboccano così la corsia d'emergenza alcuni processi, si stringono i tempi sulle richieste di patteggiamento e sugli orari di inizio delle udienze.

«Abbiamo raggiunto un accordo per dare una maggiore produttività al sistema soprattutto in virtù dei tempi che ora dovranno essere esaminati dal magistrato prima di andare in udienza», spiega l'avvocato in una giornata trascorsa in fibrillazione per le imminenti elezioni per il rinnovo del consiglio dell'Ordine che tra gennaio e febbraio coinvolgeranno gli Ordini forensi italiani.

Bando quindi alle udienze discusse all'ultimo minuto e ad attese logoranti, quando addirittura vane per l'avvocato impossibilitato ad andare avanti in mancanza della notifica o per altri motivazioni sostanziali all'avvio dell'udienza. D'ora in avanti, spiega a ItaliaOggi il presidente dell'ordine degli Avvocati meneghini, «si procederà per raggruppamenti di udienze simili e questo sarà possibile solo grazie a un necessario lavoro di studio preventivo dell'ordine delle cause da trattare da parte del magistrato di riferimento. Il giudice indicherà i tempi e l'avvocato arriverà finalmente al momento giusto». Una riforma procedurale, questa, nata dal lavoro dell'Osservatorio milanese a componenza mista tra avvocati e magistrati, uno degli oltre venti movimenti spontanei nati ormai oltre dieci anni fa per l'individuazione di prassi virtuose taglia- tempo. Passano gli anni ma il motto resta quello: «Mettere nella giustizia quello che vorresti metterci tu». E quello di studiare oltre alle cause, anche il loro ordine può essere un buon punto di partenza. Ed ecco come: precedenza accordata ai procedimenti con detenuti, a quelli di non luogo a procedere e a quelli in cui le parti si rifanno ad atti scritti senza una discussione orale. Per quanto attiene invece il patteggiamento, l'intesa conferma anche qui l'obbligo di precedenza e prevede la sua anticipazione al Procuratore generale e comunicazione tramite modulo della proposta di accordo al presidente del Collegio giudicante, il tutto in una data precedente all'udienza di richiesta del procedimento speciale. Disciplinato anche il capitolo dei maxi-processi con una prima udienza dedicata esclusivamente all'accertamento della regolare costituzione delle parti e la fissazione delle successive a una distanza di tempo sufficiente a rinnovare le notifiche nulle.

Previsto anche un servizio di interpretariato a rotazione quotidiana sempre utilizzabile da ogni sezione e per gli avvocati un aiuto nella liquidazione degli onorari per gratuito patrocinio, l'introduzione di criteri a forfait per tipologia di processo.

Il testo mette alla gogna anche la diffusa prassi di avvio delle udienze ben oltre l'orario fissato in bacheca: d'ora in avanti non potranno iniziare dopo le 9,15 e quelle in Camera di consiglio saranno riunite a fine mattinata per consentire una certa compatibilità con il servizio di cancelleria. Marzia Paolucci

La Rassegna Stampa Oua

La Rassegna Stampa Oua

La fotografia dell’arretrato

La perizia psichiatrica non è scientifica, Sollevato dubbio d'incostituzionalità | Associazione Italiana Psichiatri

La perizia psichiatrica non è scientifica, Sollevato dubbio d'incostituzionalità Associazione Italiana Psichiatri

Un giudice del Tribunale di Ancona, Cesare Marziali , ha sollevato dubbio d'incostituzionalità dell' articolo 88 c.p. rinviando gli atti alla Corte Costituzionale. Segue il testo della sentenza:
Il Giudice, letti gli atti del procedimento penale n. 30181/02 R.G. mod. 16, 1774/96-2 RGNR, relativo all’imputato Possanza Antonio

Italease, cinque arresti a Milano Corriere della Sera

Italease, cinque arresti a Milano Corriere della Sera

MILANO - Nuovi sviluppi nell'ambito dell'inchiesta sui derivati che coinvolge Banca Italease. Il gip di Milano, Cesare Tacconi, su richiesta dei pm Roberto Pellicano e Giulia Perrotti , ha firmato 5 ordinanze di custodia cautelare che ipotizzano i reati di associazione a delinquere e aggiotaggio. Tra gli arrestati gli ex ad, Massimo Faenza e Massimo Sarandrea, l'ex intermediario d'affari Carlo Calza e Roberto Fabbri, ex vice direttore generale di italease. Arrestato anche l'altro mediatore Luca De Filippo.
DERIVATI E IMMOBILIARISTI - L'inchiesta della procura di Milano era stata avviata nel luglio scorso. All'apertura del fascicolo, l'attenzione dei magistrati si è concentrata sulle forti perdite registrate dall'istituto sui derivati, nonché sulla correttezza di singole operazioni e sul ruolo di alcuni consulenti che per la loro intermediazione avrebbero ricevuto elevate commissioni. Secondo quanto emerso fino a ora, Claudio Calza è l'agente che ha portato a banca Italease come cliente, tra gli altri, l'immobiliarista romano Giuseppe Statuto. Calza, finanziere di origini lucane, meglio noto alle cronache per il suo rapporto di amicizia con l'ex presidente della repubblica, Francesco Cossiga, risulta iscritto nel registro degli indagati anche della procura di Roma, nell'ambito dell'inchiesta sul crack da 130 milioni di euro di alcune società della galassia di un altro immobiliarista, Danilo Coppola (inchiesta che vede coinvolto anche lo stesso ex ad di Italease, Massimo Faenza).
COMMISSIONI A FRONTE DI NIENTE - La vicenda Italease assume rilievo giudiziario con l'arresto di Danilo Coppola ad opera della Procura di Roma nel marzo 2007. È quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere del Tribunale di Milano, in cui viene sottolineata «una colleganza di malaffare» tra Massimo Faenza e il suo uomo di fiducia, Claudio Calza, e l'immobiliarista romano, già detenuto dallo scorso primo marzo. Dalla ricostruzione emerge che Faenza percepiva somme di denaro che Coppola dava a Calza e che quest'ultimo girava all'amministratore delegato di Banca Italease. Giro di soldi che consentiva poi a Coppola di accedere a finanziamenti da parte dell'istituto di leasing. Da un'intercettazione tra Coppola e la moglie citata nell'ordinanza emerge che l'immobiliarista romano aveva chiesto alla consorte di «contattare Faenza dell'Italease e di dirgli che lui (Coppola, ndr) gli ha dato un sacco di miliardi e che quindi Faenza non deve rientrare con i finanziamenti in quanto se lo fa succede la fine del mondo». E aggiunge alla moglie di «non chiedere i rientri dei finanziamenti in quanto se ciò succede lui dice tutto». E in un'altra intercettazione si parla di «commissioni pagate a fronte di niente»: al telefono il 14 maggio scorso, sono Maurizio Gobetti, responsabile dei servizi Affari generale di Italease, e Maurizio Biliotti, rappresentante della Banca Popolare di Milano nel cda di Italease.
PERDITE - Il caso derivati di Banca Italease è stato scoperchiato alla fine di maggio del 2007, quando l'istituto comunicò che il potenziale rischio di controparte riferibile a strumenti derivati con clientela, si attestava a circa 400 milioni. Nei giorni successivi, il 4 giugno, sono arrivate le dimissioni di Massimo Faenza e a fine giugno banca Italease aggiunse in un comunicato che la chiusura delle posizioni dei derivati in essere nei confronti delle banche controparti aveva comportato un esborso di circa 610 milioni di euro. Al 29 giugno, sottolineava l'istituto milanese, erano rimaste aperte posizioni con le banche controparti che rappresentavano un mark to market negativo pari a circa 120 milioni di euro. Parallelamente all'inchiesta della magistratura milanese, anche la Banca d'Italia e la Consob hanno avviato indagini sull'operato dell’istituto. Secondo il gip che ha firmato l'ordinanza, le perdite potenziali del gruppo ammonterebbero a 500 milioni di euro. «A conclusione degli accertamenti sono stati stimati rischi di perdita da operazioni in derivati con la clientela pari a circa 500 milioni di euro e dall'esposizione verso i gruppi Coppola, Renar Investment Funds e Promar per circa 60 milioni». È quanto scrive il gip Cesare Tacconi nell'ordinanza con la quale ha disposto l'arresto di cinque ex dirigenti di Banca Italease.
DERIVATI RISCHIOSI A CLIENTI INCONSAPEVOLI - «La distrazione del denaro della banca era resa possibile da una irragionevole attività di collocazione e vendita» di derivati «di natura assolutamente speculativa, che generava ingentissimi flussi di cassa positivi per Banca Italease da parte di diverse banche d'affari», si legge nell'ordinanza di custodia cautelare. «Più rischiosi erano i derivati venduti, più elevato l'incasso up front che se ne realizzava», ecco perché «Italease incentivava e collocava tra i propri clienti la vendita di derivati rischiosissimi, spesso senza che detti clienti ne fossero consapevoli o in diversi casi in accordo con i clienti stessi che acconsentivano a concludere il derivato» credendo che li difendesse da «eventuali perdite» e che, al contempo «garantisse loro il consenso» della banca «su operazioni di leasing ben poco trasparenti». Erano centinaia i mediatori che guadagnavano sulla presentazione di clienti disposti a sottoscrivere tali derivati e leasing, ma mentre ai mediatori normali venivano corrisposti compensi rappresentanti piccole parti dell'up front, «nel caso di Calza e De Filippo si arrivava a trasferire al mediatore fino ai due terzi e in alcuni casi tutta la somma incassata da Italease» a titolo di up front.
AGGIOTAGGIO - Oltre alle illecite e sproporzionate commissioni incassate dai mediatori questo sistema consentiva all'istituto di diffondere notizie false sugli attivi, alterando in questo modo il corso dei titoli in Borsa: «La conclusione di derivati speculativi e i flussi di cassa positivi che ne conseguivano permetteva» agli ex vertici di Italease di «stornare illecitamente dal patrimonio della banca buona parte di questo denaro», che poi veniva trasferito su conti esteri, «e di alterare in senso positivo il risultato di esercizio del bilancio della società e in tal modo di rappresentare al mercato false condizioni economiche della società condizionando artificiosamente al rialzo i corsi di borsa del titolo di Italease».
PIAZZA AFFARI - Il titolo di Banca Italease, dopo una sospensione per eccesso di ribasso, è rientrata in contrattazione nel primo pomeriggio, e ha chiuso con una flessione del 9,3% sotto i 6,15 euro. Anche il Banco Popolare, al quale fa capo la quota di maggioranza di Italease, ha pagato dazio in Borsa: l'istituto nato dalla fusione tra Banco popolare italiana e il Banco popolare Verona e Novara, primo azionista di Italease con oltre il 30%, ha chiuso con una flessione del 2,6%.
NESSUN RAPPORTO CON ARRESTATI - Il consiglio di amministrazione di Banca Italease, in una nota, ha ribadito di voler continuare a collaborare con gli organi di vigilanza e la magistratura nella ricostruzione delle vicende che l'hanno interessata nel periodo in cui era operativo il precedente vertice operativo. Ma fa notare che sin dall'estate scorsa con gli ex dirigenti Massimo Faenza, Massimo Sarandrea e Roberto Fabbri sono cessati i rapporti di lavoro, al pari di quelli con Claudio Calza e Luca de Filippo (agenti intermediari) anch’essi finiti in manette.
INCHIESTA SU BPM-BPER - Dall'ordinanza che ha disposto gli arresti si evince inoltre che la Procura di Milano indaga, almeno dal febbraio dell'anno scorso, sull'operazione di fusione, poi fallita nel giugno del 2007, tra la Banca Popolare di Milano e la Banca Popolare dell'Emilia Romagna. L'ipotesi di reato a carico di ignoti è quella di abuso di informazioni privilegiate. L'inchiesta è condotta dal pm Roberto Pellicano. Nell'ordinanza, Tacconi fa riferimento ad alcune telefonate intercettate a febbraio 2007 nell'ambito dell'indagine sulla fusione tra funzionari delle banche popolari. Telefonate non utilizzabili nel procedimento su Italease proprio perchè raccolte in un' altra inchiesta.

16 gennaio 2008

AGI News On - BABY PROSTITUZIONE: PIAZZA TRENTO

AGI News On - BABY PROSTITUZIONE: PIAZZA TRENTO

15 gennaio 2008 - Prostituzione minorile: tutti condannati i romeni di p.za Trento
Si è concluso con otto condanne con aumenti di pena fino a 13 anni di reclusione il processo d'appello a carico di otto rumeni accusati di aver costretto a rubare e a prostituirsi in piazza Trento diversi bambini tra i 10 e i 13 anni.
Le pene sono state inflitte nel primo pomeriggio dai giudici della seconda corte d'assise d'appello in parziale riforma della sentenza di primo grado. I giudici hanno accolto quasi tutte le richieste di pena formulate settimana scorsa dal sostituto procuratore generale Laura Barbaini. La corte presieduta dal giudice Sergio Vaglio ha riconosciuto agli imputati, tra cui figurano due donne, l'accusa di aver messo in atto un sodalizio criminale operante in piazza Trento fino al 2003.
Gli imputati rispondono dunque a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitu' e al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione di minorenni e maggiorenni, violenza e minacce per commettere reati, ricettazione, furto e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ognuno pero' ha avuto un ruolo diverso nell'ambito dell'organizzazione criminale secondo quanto ricostruito dall'accusa al termine dell'indagine svolta dalla quarta sezione della Squadra mobile. I rumeni occupavano gli stabili di viale Monza, Isonzo e Minusiano, a Bruzzano, adattandoli a basi logistiche. Marius Torok, ritenuto il capo dell'associazione criminale, con Paul Sorin Rus coordinava il lavoro e incassava i proventi dell'attività criminosa, ricevendoli direttamente dai bambini tra i 10 e i 13 anni al termine della giornata.
Oggi sono stati condannati rispettivamente a 13 e a 7 anni di carcere. Il pg aveva chiesto pene a 13 e a 11 anni. Gheorghe Moldovan, latitante, accompagnava i bambini sul luogo della prostituzione, attendeva che arrivassero i clienti, con i quali contrattava il prezzo della prestazione sessuale e intascava la somma. Ha ricevuto una condanna a 8 anni e 6 mesi, quando il pg ne aveva chiesti 8 e 10. Elisabeta Varga faceva la cuoca in una casa abbandonata in piazza Trento ed era il "trait d'union tra viale Isonzo e viale Monza", ha detto giovedì Barbaini. La donna con Hiceag Avram Ovidiu Ghabenei, Dumitru Moldovan e Gheorghe Moldovan sfruttava la prostituzione di ragazze rumene maggiorenni, procacciando clienti e curando i contatti telefonici.
Varga è stata condannata a 8 anni e 6 mesi, mentre Dumitru Moldovan a 12, come chiesto dal pg. Infine, Nicula Pompilia, definita una "figura centrale" dall'accusa, era incaricata di tenere i passaporti dei bambini perchè non fuggissero. È stata condannata a 12 anni e 2 mesi, ancora una volta come chiesto da Barbaini. Condannato a 6 anni di reclusione anche l'unico imputato che in primo grado era stato assolto, Ionel Bircea. Oggi i giudici hanno confermato anche la condanna a 2 anni di carcere e 300 euro di multa per l'ottavo imputato, Hiceag Avram Ovidiu Ghabenei accusato di reati minori. Nei suoi confronti il pg in appello aveva chiesto il rigetto dell'impugnazione della prima sentenza.
La corte ha dunque respinto la richiesta di rinnovazione del dibattimento avanzata da alcuni difensori durante le arringhe. Ha inoltre disposto che il risarcimento all'unica parte civile, un ragazzo di 18 anni che da bambino era stato costretto a vendersi, sia liquidato in sede civile. Disposta infine la sospensione dei termini della durata di custodia cautelare durante i 90 giorni che serviranno per redarre le motivazioni della sentenza. In primo grado, lo scorso 15 marzo, la prima corte d'assise presieduta dal giudice Luigi Domenico Cerqua aveva inflitto a sette imputati pene fino a 11 anni e 5 mesi di reclusione e assolto Bircea, irreperibile. I giudici avevano inflitto 11 anni e 5 mesi a Marius Torok, 10 anni e 6 mesi a Nicula Pompilia, 9 anni a Dumitru Moldovan, 7 anni e 11 mesi a Paul Sorin Rus, 4 anni e 3 mesi a Gheorghe Moldovan, 4 anni e 6 mesi a Elisabeta Varga.
Per questa vicenda, inoltre, è già stato condannato in appello con rito abbreviato a 5 anni e 10 mesi di reclusione Dorel Nellutu Zoltan. Infine, lo scorso 22 ottobre sono stati condannati in primo grado a un anno e 8 mesi e a 2 anni di carcere un ex carabiniere e un impiegato comunale ritenuti clienti dei ragazzini costretti a prostituirsi.

CASSAZIONE, RISCHIA CONDANNA PER MOLESTIE CHI PEDINA L'EX | Cronaca | ALICE Notizie

CASSAZIONE, RISCHIA CONDANNA PER MOLESTIE CHI PEDINA L'EX Cronaca ALICE Notizie


Roma, 16 gen. (Apcom) - Rischia una condanna per molestie chi pedina l'ex con la propria macchina. La delusione d'amore dopo essere stati lasciati non giustifica, infatti, comportamenti petulanti che opprimono il partner.
E' quanto si evince dalla sentenza della Corte di cassazione numero 2113 del 15 gennaio 2008 con la quale è stata confermata la condanna nei confronti di un 72enne per molestie (300 euro di ammenda oltre il risarcimento dei danni morali). Dopo essersi lasciato con la moglie, l'uomo aveva iniziato a pedinarla con la macchina. Lei, oppressa da questi atteggiamenti, si faceva scortare dalla cognata che aveva poi testimoniato contro l'ex marito comportando la condanna da parte del Tribunale di Sciacca.
Contro questa decisione l'ex marito ha fatto ricorso in Cassazione ma senza alcun successo: i giudici della prima sezione penale hanno infatti confermato la pena precisando che "il giudice di merito, ai fini della ricostruzione dei fatti consistenti in ripetuti e insistenti episodi di inseguimento in macchina, si è basato su ben tre testimonianze ritenute attendibili in quanto disinteressate e concordanti oltreché sulla individuazione di una causale che giustifica le molestie per motivi di rivalza che coinvolgevano l'ex moglie che lo aveva lasciato e che veniva scortata dalla cognata e quindi su un apparto argomentativo complesso che non ha trascurato alcuna emergenza processuale".

Domiciliari alla moglie di Mastella Indagato Clemente, arresti nell'Udeur - cronaca - Repubblica.it

Domiciliari alla moglie di Mastella Indagato Clemente, arresti nell'Udeur - cronaca - Repubblica.it

NAPOLI - Terremoto nell'Udeur. Ordinati gli arresti domiciliari per Sandra Lonardo Mastella, presidente del Consiglio regionale della Campania e moglie del ministro della Giustizia, che risulta invece iscritto nel registro degli indagati con l'ipotesi di reato di concussione ai danni del presidente della Regione Antonio Bassolino. Provvedimenti restrittivi anche per gli assessori regionali campani dell'Udeur Luigi Nocera all'ambiente, ed Andrea Abbamonte al personale; il sindaco di Benevento Fausto Pepe, ed i consiglieri regionali Fernando Errico, capogruppo dell'Udeur, e Nicola Ferraro. In totale i provvedimenti restrittivi, partiti tutti dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, contro esponenti della giunta regionale campana, consiglieri regionali e amministratori dell'Udeur sarebbero 23; 4 da scontare in carcere. Tutti i nomi degli indagati. Tra le persone sottoposte alla misura degli arresti domiciliari anche il sindaco del Comune di Cerreto Sannita, in provincia di Benevento, Antonio Barbieri, di Forza Italia. In carcere doveva andare Carlo Camilleri, presidente dell'Autorità di bacino del Sele e suocero di uno dei figli del ministro, da ieri però in ospedale per un malore. Gli altri esponenti politici Udeur coinvolti sono: Vincenzo Lucariello; Antonello Scocca; Domenico Pianese; Carlo Bianco; Erminia Florenzano; Francesco Cardone; Vincenzo Liguori; Nino Lombardi; Angelo Padovano; Domenico Pietrocola; Francesco Zaccaro; Letizio Napoletano; Paolo Budetta; Cristiana Fevola e Ugo Ferrara. Sono indagati a vario titolo per falso, corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e tentato abuso d'ufficio. Sospeso prefetto e giudice del Tar. Nell'ambito dell'indagine è stato sospeso anche il prefetto di Benevento Giuseppe Urbano, da circa due anni nel Sannio dopo essere stato vicario a Caserta, indagato per falso; il giudice del Tar Campania Ugo De Maio, al quale viene contestata la rivelazione di segreto di ufficio, e il vigile urbano Luigi Treviso, in servizio ad Alvignano, indagato per falso.
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L'inchiesta in ambito sanitario. I provvedimenti richiesti dalla procura di Santa Maria Capua Vetere sono stati firmati dal gip Francesco Chiaromonte. L'ipotesi di reato per la moglie di Mastella è tentata concussione nei confronti del direttore generale dell'ospedale di Caserta. Le accuse al ministro. Stesso reato ipotizzato nei confronti del marito. A quanto si è appreso, l'inchiesta riguarderebbe uno scambio di favori. Il ministro della giustizia avrebbe in particolare fatto pressioni indebite sul governatore della Campania affinche gli lasciasse mano libera su alcune nomine. I magistrati, riferendosi al Guardasigilli, parlano del suo potere di controllo sulle attività degli enti pubblici e locali ricadenti nel territorio della Campania. Sistema al quale Mastella avrebbe dato un "contributo concreto, specifico, consapevole e volontario". Per il sindaco di Benevento, l'imputazione riguarda invece un filone di indagine che ha al centro una gara di appalto avvenuta a Matera. "Saranno i cittadini a giudicare". Sandra Lonardo Mastella è nella casa di Ceppaloni, paese natale suo e del marito. Il provvedimento le è stato notificato intorno alle 14.30 ma le indiscrezioni sull'arresto erano comparse sulle agenzie di stampa già nel primo mattino. Raggiunta al telefono dai cronisti, prima che gli agenti di polizia giudiziaria le consegnassero l'ordine firmato dal giudice, Sandra Lonardo aveva annunciato che non si sarebbe dimessa: "Dimettermi? Assolutamente no. Non ci penso proprio. Saranno i cittadini a giudicare. Sono serena e pronta a fornire qualsiasi chiarimento. Credo che anche questo è l'amaro prezzo che, insieme a mio marito, stiamo pagando per la difesa dei valori cattolici in politica, dei principi di moderazione e tolleranza contro ogni fanatismo ed estremismo. Basta guardare alla vicenda del Papa di questi giorni per capire cosa avviene ai cattolici". L'avvocato: "Nessuna bustarella". Bocche cucite in Procura. Il procutore capo di Santa Maria Capua Vetere Mariano Massei, ha detto: "Nessun provvedimento è stato notificato alla Mastella. Che esista o no, non posso dirlo". Parla invece l'avvocato Titta Madia, difensore della moglie del Guardasigilli: Al centro della vicenda giudiziaria ci sarebbe "una grande sfuriata telefonica che la donna avrebbe fatto al direttore di un ospedale in merito ad una nomina. Quindi solo un contrasto di carattere politico e nulla a che vedere con dazioni di danaro o vantaggi di altro tipo". Tesi ribadita dal portavoce della moglie di Mastella: ''Da una lettura rapida degli atti - ha detto Alberto Borrelli - si parla di banali contrasti che attengono alla normale dialettica politica. Non si parla mai di soldi, né di appalti, né di gare. Si fa solo riferimento a diversità di giudizio su una nomina, peraltro non di sua competenza e, comunque, avvenuta e mai revocata''. (16 gennaio 2008)

15 gennaio 2008

Quotidiano Net - Fabio Carlino condannato a 4 anni Assolta la modella russa Korovina

Quotidiano Net - Fabio Carlino condannato a 4 anni Assolta la modella russa Korovina

Rimini, 14 gennaio 2008 - Dopo cinque ore di arringhe fra pubblico ministero, avvocati dell’accusa e della difesa, e dopo tre ore di camera di consiglio, è stata emessa la sentenza sulla morte del Pirata, avvenuta il 14 febbraio 2004 per overdose di cocaina nel Residence le Rose di Rimini.

Il Tribunale di Rimini ha emesso la sentenza di primo grado del processo che vede coinvolti gli ultimi due personaggi implicati nella morte di Marco Pantani, Fabio Carlino e Elena Korovina. Carlino, per il quale il pm aveva chiesto una pena di sette anni e sei mesi, e' stato condannato a quattro anni e sei mesi; la Korovina invece e' stata assolta.

Come pene accessorie, il Tribunale ha comminato una multa di 19.000 euro al condannato e una provvisionale di 300.000 euro a favore della famiglia Pantani. La madre del pirata, Tonina Belletti, presente in aula con il marito Paolo, ha detto di voler devolvere la somma in beneficenza per creare una scuola di ciclismo per ragazzi a Cesenatico, nel nome di Marco.

E' finito cosi', anche quest'altro troncone del processo Pantani con la condanna dello spacciatore che provoco' la morte del campione di ciclismo, stroncato da un'overdose di cocaina il 14 febbraio 2004 in una stanza del residence Le Rose di Rimini.

Carlino era titolare di un'agenzia di modelle di cui faceva parte anche la Korovina, ed era accusato del reato di morte non voluta in conseguenza del reato di spaccio. Mentre la Korovina doveva rispondere solo dell'accusa di aver ceduto droga al ciclista nel dicembre del 2003.

L'imputato si e' sempre professato innocente, ma secondo il Pm si sarebbe adoperato in tutti i modi per vendere la droga a Pantani, a causa delle sue insistenze. Altre tre persone implicate nella vicenda avevano gia' patteggiato in precedenza: il barista Alfonso Cueva, per aver ceduto al Pirata una dose di cocaina; il fornitore Fabio Miradossa, anche lui per morte come conseguenza dello spaccio; e colui che aveva procurato la partita di droga, Ciro Veneruso. Hanno anche gia' scontato la pena definitiva, grazie all'indulto.

La madre di Pantani, Tonina Belletti, ha piu' volte criticato in passato l'operato dalla magistratura. Nei giorni scorsi la procura di Forli' ha aperto un'inchiesta sulle minace che avrebbero preceduto la morte del campione. Dubbi sulla morte erano state rinfocolate anche dal libro del giornalista francese Philippe Brunel, ''Vie et mort de Marco Pantani'', pubblicato lo scorso ottobre in Francia e di prossima uscita anche in Italia, che parla anche di indagini condotte male e in maniera frettolosa. Una tesi sposata in pieno dalla famiglia del campione.

14 gennaio 2008

Iusreporter.it Blog: Sostituzione di persona, account, posta elettronica, nome sostituito, sussistenza

Iusreporter.it Blog: Sostituzione di persona, account, posta elettronica, nome sostituito, sussistenza: "Sostituzione di persona – account – posta elettronica – nome sostituito – sussistenza [art. 494 c.p.]
E’ configurabile il reato di sostituzione di persona, laddove si crei un account di posta elettronica usando un nome altrui e fingendosi tale persona.
(Fonte: Altalex Massimario 1/2008)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 14 dicembre 2007, n. 46674"

Quotidiano Net - Cronaca - Imprenditore condannato per omicidio colposo "Versi 750mila euro alla famiglia dell'operaio"

Quotidiano Net - Cronaca - Imprenditore condannato per omicidio colposo "Versi 750mila euro alla famiglia dell'operaio"

Lecco, 14 gennaio 2008 - Una provvisionale di 750mila euro per risarcire i danni morali, biologici e materiali ai familiari di un operaio vittima di un incidente sul lavoro. Questa la condanna inflitta dal Giudice monocratico di Lecco Massimiliano Magliacane all'imprenditore Gabriele Sesana, titolare di una azienda con sede ad Annone Brianza (Lecco) riconosciuto colpevole di omicidio colposo per il mancato rispetto delle norme antinfortunistiche e per questo condannato anche a otto mesi di reclusione.
Assolta con formula piena, la moglie contitolare. L'infortunio sul lavoro avvenne nel marzo 2004 alla stazione di Oggiono dove la vittima, Pasquale Natale, 43enne di Mandello del Lario stava scaricando presso lo scalo merci del deposito ferroviario alcune barre in ferro e acciaio da un vagone per un peso complessivo di oltre 40 quintali.
Lui era alla guida di una benna e con braccio meccanico agganciò il carico per trasferirlo su un autocarro. Durante questa operazione il carico, sospeso nel vuoto, oscillò andando a colpire la cabina di manovra, schiacciando al suo interno il 43enne.

Secondo le perizie disposte dalla Procura la benna era bisognosa di manutenzione e non in grado di reggere un peso simile. Durante il dibattimento processuale si è discusso anche sull'assenza di griglie protettive e vetri antisfondamento, all'epoca però non obbligatorie. Il Procuratore capo, Annamaria Delitala aveva chiesto l'assoluzione per entrambi gli imputati (assistiti dagli avvocati Stefano Pelizzari e Francesca Liso), trovando la netta contrarietà delle parti civili rappresentate dai legali Antonino e Grazia Scurria.

Filmare i rapporti sessuali col partner anche senza il suo consenso non è reato Corriere della Sera

Filmare i rapporti sessuali col partner anche senza il suo consenso non è reato Corriere della Sera

ROMA - Filmare i rapporti sessuali con il proprio partner senza averne precedentemente chiesto il consenso non rappresenta una violazione della privacy e dunque non significa commettere reato. A patto che il nastro rimanga fra le mura domestiche e che non venga mostrato ad altri. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza 1766, ha assolto «perché il fatto non sussiste» un 49enne romano che non solo aveva ripreso le sue serate piccanti con la convivente, ma le aveva anche registrate.
«IL MIO ULTIMO PENSIERO PER TE» - Però aveva avuto il buon gusto di non diffonderle e di non mostrarle ad altri. Le aveva incartate e regalate alla ex compagna quando si erano lasciati: «È il mio ultimo pensiero per te», aveva scritto sul biglietto di addio. Insomma, la V Sezione penale ha annullato la condanna a quattro mesi di reclusione inflitta dalla Corte d'Appello capitolina perché, spiega la sentenza, i giudici di merito hanno ricostruito il fatto «che le vicende sono state registrate all'epoca in cui l’imputato che ha operato le riprese e la persona coinvolta convivevano, e che le immagini di cui la prima disponeva non risultano diffuse, ma solo rimesse all’altra, non si ravvisano quindi estremi di reato».
14 gennaio 2008

10 gennaio 2008

Cenerentolasiribella - Libero Community - Blog

Cenerentolasiribella - Libero Community - Blog

Otto anni di reclusione. Questa la richiesta di condanna formulata dal pubblico ministero Marco Ghezzi nei confronti di un docente universitario messicano accusato di aver picchiato e violentato la moglie italiana per anni, finchè la donna è fuggita con i figli piccoli. L'uomo, arrestato non appena ha messo piede sul territorio nazionale per cercare la consorte, è a processo davanti alla nona sezione penale con le accuse di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia. In base ha quanto ricostruito dal pm, che ha raccolto la denuncia della donna, il professore messicano, 36 anni, avrebbe in più occasioni maltrattato la moglie 37enne con cui ha due bambini di 2 e 4 anni. Al punto che la donna, nell'estate del 2006, è scappata, tornando in Italia e portando con sè alcune fotografie che ritraevano i lividi, le ferite e i denti rotti che il marito le avrebbe causato l'ultima volta.All'esito della consulenza tecnica disposta da Ghezzi sulle lesioni, è stata emessa l'ordinanza di custodia cautelare a carico del docente. Misura eseguita lo scorso 21 marzo quando, dopo diverse telefonate minacciose, il professore ha deciso di venire in Italia per riprendersi la famiglia. La polizia giudiziaria lo ha arrestato prima ancora che scendesse dall'aereo, causando l'indignazione del consolato americano che ha scritto una lettera alla Procura. Oggi, davanti al collegio presieduto dal giudice Anna Conforti, si sono tenute la requisitoria del pm e la discussione dell'avvocato di parte civile. Il 17 gennaio la parola passerà alla difesa. Al termine i giudici potrebbero ritirarsi in camera di consiglio per emettere la sentenza.

Varese News | Busto Arsizio | Violentò un'adolescente, condannato a tre anni e otto mesi

Varese News Busto Arsizio Violentò un'adolescente, condannato a tre anni e otto mesi

Tre anni e otto mesi di carcere: questa la pena inflitta dal gip Banci, con i benefici del rito abbreviato (sconto di un terzo della pena), ad un 21enne di Fagnano Olona che lo scorso 26 maggio a Cassano Magnago abusò sessualmente di una ragazza non ancora quindicenne. I due si conoscevano da qualche tempo, e quella sera il giovane aveva convinto la minorenne a seguirlo, appartandosi con lei nel Parco della Magana, salvo poi andare decisamente troppo oltre nelle sue avances. Tornata a casa in lacrime, la giovanissima raccontò tutto ai genitori e i sanitari riscontrarono le prove dell'avvenuto rapporto sessuale. Dopo delicate indagini, fu solo in luglio, a due mesi di distanza dal fatto, che le manette scattarono ai polsi del giovane, inchiodato, oltre che dalla testimonianza della ragazza, anche dai riscontri scientifici del RIS di Parma. La vicenda era stata seguita dal pm Valentina Margio.

9 gennaio 2008

Privacy, assolto l'impiegato che spiò i dati di Prodi e signora - Il Sole 24 ORE

Privacy, assolto l'impiegato che spiò i dati di Prodi e signora - Il Sole 24 ORE

Una sbirciatina veloce a dati non riservati. Solo così il dipendente dell'agenzia delle Entrate evita una condanna penale per accesso abusivo all'Anagrafe tributaria. Entrare nel sistema per soddisfare una propria curiosità non costituisce reato di per sé. Occorre che il lavoratore del Fisco sappia di stare violando la privacy dei cittadini, contro la volontà della stessa amministrazione finanziaria. A stabilire come e quanto sia lecito farsi gli affari dei contribuenti, senza alcun motivo di lavoro, è il Gip del tribunale di Nola, nella sentenza 488 del 14 dicembre 2007 (di prossima pubblicazione su «Guida al Diritto»): pur consapevole dell'orientamento della giurisprudenza in materia, non se l'è sentita di far pagare caro quello che ha considerato una sorta di peccato di ingenuità.Il magistrato ha assolto «perché il fatto non costituisce reato» un dipendente delle Entrate di Nola che, in assenza di una qualsiasi attività di accertamento tributario in corso, è entrato fugacemente nel sistema pubblico per consultare i dati anagrafici di due "schedati" eccellenti: il premier Romano Prodi e signora.Il fatto che l'uomo abbia aperto, per qualche attimo, la banca dati allo scopo di «prendere cognizione» di informazioni di pubblica conoscenza e conoscibilità (come quelle anagrafiche) e non sottoposte ad alcuna forma di tutela della riservatezza, secondo il magistrato, fa pensare che «egli non si sia reso nemmeno conto che vi potesse essere una tacita volontà contraria da parte dell'amministrazione». Insomma, non c'era alcun dolo e così il reato previsto dall'articolo 615ter del Codice penale non si è perfezionato.La norma, vale la pena ricordarlo, punisce chi si introduce abusivamente in un sistema informatico o protetto da misure di sicurezza e chi, pur in possesso di tutte le password necessarie, vi si mantiene «senza la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo». Ora, a parere del giudice campano, sfruttare la possibilità di accesso a un sistema protetto per fini diversi da quelli per i quali si è autorizzati, sicuramente equivale a forzare in qualche modo la banca dati. Però quello che conta – e fa la differenza – è l'elemento psicologico del reato. Dal punto di vista dell'elemento oggettivo, cioè, il delitto c'era; ma la convinzione di non star facendo nulla di illecito ha bloccato l'azione penale nei confronti dell'impiegato dell'Erario; azione che invece sembra essere proseguita a carico di una sua collega, "colpevole" di aver dato un'occhiata anche alle dichiarazioni dei redditi dei due Vip; ovvero a informazioni molto meno pubbliche.A quanto pare, a fare da spartiacque punitivo è il contenuto della futile sbirciatina, all'interno dell'Anagrafe tributaria. Quasi che i dipendenti possano ricercare indirizzi e date di nascita all'interno della banca dati fiscale come fosse "google" o qualsiasi altro motore di ricerca telematico. Un principio, questo, che non sembra convincere del tutto, perché finisce con il graduare la protezione degli utenti. E che in questa fase rischia di alimentare preoccupazioni in chi guarda con timore all'uso massiccio della telematica e all'anagrafe fiscale dei conti correnti bancari.La sentenza di Nola è una delle terminazioni dell'azione giudiziaria innescata nel 2006, su tutto il territorio nazionale, da un esposto del ministero dell'Economia per le presunte "spiate illegali" dei conti bancari di alte cariche dello Stato, personalità politiche di appartenenza diversa, oltre a personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport.

8 gennaio 2008

Sentenza n. 231 del 20 dicembre 2007 - depositata il 07 gennaio 2008(Sezioni Unite Penali, Presidente T. Gemelli, Relatore

Corte Suprema di Cassazione


MISURE CAUTELARI – REALI – RIESAME – RICHIESTA – PRESENTAZIONE – MODALITA’
Le Sezioni unite, con due decisioni assunte in pari data e in continuità con quanto statuito dalla sentenza 11 maggio 1993 n. 8, Esposito, hanno affermato il principio secondo cui la richiesta di riesame del provvedimento che dispone o convalida un sequestro è validamente proposta anche con telegramma o con trasmissione dell’atto a mezzo di raccomandata alla cancelleria del tribunale competente, che si individua in quello del capoluogo di provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.

Testo Completo:
Fatto
1. Il giorno 1° febbraio 2007, personale appartenente alla Digos della Questura di Varese procedeva, ex art. 352 c.p.p., alla perquisizione dell'immobile di proprietà di Ivan TONELLI, sorpreso a vendere gasolio sulla pubblica via. All'esito della perquisizione, gli operanti sottoponevano a sequestro probatorio numerose taniche, cinque delle quali contenenti benzina, tredici contenenti gasolio, e altre ancora, in numero di quarantasette, vuote. Con decreto del 3 febbraio 2007, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese convalidava il sequestro, a norma dell'art. 355 c.p.p., ritenendo configurabili i reati di cui agli artt. 624, 625, 678, 679 c.p. Il decreto veniva notificato all'indagato in data 12 febbraio 2007 In data 22 febbraio 2007, l'avv. Fabrizio Busignani, che nel frattempo era stato nominato difensore dal Tonelli, inoltrava per posta raccomandata richiesta di riesame avverso il suddetto decreto del pubblico ministero. Il plico perveniva al Tribunale di Varese in data 24 febbraio 2007. Nella richiesta, sottoscritta dall'avv. Busignani, si chiedeva l'annullamento del decreto di convalida del sequestro e la restituzione delle cose sequestrate al Tonelli. Con decreto in data 26 febbraio 2007, il pubblico ministero disponeva la restituzione a Eugenio Villani, datore di lavoro del Tonelli, della benzina e del gasolio in sequestro, mantenendo il vincolo solo sulle taniche vuote.
2. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Varese, in funzione di giudice del riesame ex art. 324 c.p.p. in relazione all'art. 355 comma 3 c.p.p., dichiarava inammissibile la richiesta di riesame, in quanto "depositata solo il 24/2/07, quindi oltre il termine di dieci giorni fissato dagli arte. 355-324 c.p.p." e, relativamente al carburante, per sopravvenuta carenza di interesse stante l'intervenuto dissequestro, e condannava il Tonelli al pagamento delle spese del procedimento. 3. Ha proposto ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo dell'avv. Fabrizio Busignani, il quale, premessa una puntualizzazione cronologica dell'iter della procedura relativa al sequestro e alla impugnativa davanti al tribunale del riesame, denuncia la violazione degli artt. 324, 582 e 583 c.p.p.,, osservando che, come chiarito dalla Sezioni unite con la sentenza in data 11 maggio 1993, ric. Esposito Mocerino, seguita da conforme giurisprudenza, deve considerarsi rituale la formalità della spedizione della richiesta di riesame a mezzo posta, sicché erroneamente il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la richiesta. A detto motivo di ricorso, fanno poi seguito, con la precisazione che vengono fatte "per mero scrupolo", ulteriori doglianze, con le quali si evidenziano: l'assoluta mancanza di motivazione del decreto di convalida del sequestro, in particolare circa il nesso di pertinenza tra le cose e i reati ipotizzati; la non configurabilità delle fattispecie criminose; la carente indicazione delle esigenze di cautela o di urgenza; la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'indagato. Il ricorrente conclusivamente ha chiesto in via principale l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e conseguentemente del decreto di convalida del sequestro; e, in via subordinata, l'annullamento con rinvio della medesima ordinanza. 4. La Quinta Sezione della Corte di cassazione, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza resa alla Camera di consiglio del 18 settembre 2007, rilevato un contrasto di giurisprudenza circa la ritualità della proposizione a mezzo posta della richiesta di riesame in tema di provvedimenti di sequestro, ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite, a norma dell'art. 618 c p p In particolare nella ordinanza si osserva che pur dopo la sentenza delle Sezioni unite in data 11 maggio 1993, ric. Esposito Mocerino, con la quale era stato affermato che la richiesta di riesame ai sensi vuoi dell'art. 309 vuoi dell'art. 324 c.p.p. poteva essere proposta anche mediante telegramma o con atto trasmesso a mezzo di raccomandata, a norma dell'art. 583 c.p.p., alcune decisioni delle singole sezioni avevano mantenuto la linea interpretativa secondo cui il richiamo fatto dagli artt. 309 comma 4 e 324 comma 2 c.p.p. alle forme dell'art. 582 c.p.p., e non anche a quelle di cui all'art. 583 c.p.p., rendeva inammissibile una richiesta di riesame proposta con l'uso del mezzo postale; e che tale indirizzo dissenziente si è poi consolidato, con riguardo alle sole richieste di riesame avverso provvedimenti di sequestro, dopo che la legge 8 agosto 1995, n. 332, mentre aveva inserito nell'art. 309 comma 4 il richiamo anche alle forme dell'art. 583 c.p.p., aveva lasciato inalterato nell'art. 324 comma 2 c.p.p. il solo richiamo alle forme dell'art. 582 c.p.p. A tale restrittivo indirizzo, si osserva ancora nella ordinanza, continua però ad contrapporsi quello in linea con le indicazioni ermeneutiche segnate dalla sentenza Esposito Mocerino, la cui validità non poteva ritenersi essere intaccata dalle novità recate dalla legge n. 332 del 1995; ed è appunto su questa linea interpretativa che espressamente afferma di collocarsi il Collegio rimettente, richiamando le argomentazioni rese dalle Sezioni unite. Si è peraltro ritenuto che, perdurando e anzi precisandosi su altre basi normative il contrasto, fosse doveroso rimetterne la risoluzione alle Sezioni unite. 5. Nell'imminenza della udienza ha depositato memoria l'avv. Busignani, che insiste per l'accoglimento del ricorso, tra l'altro evidenziando che, come si ricava dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, sussiste una omogeneità di disciplina tra misure cautelari reali e personali quanto al regime della impugnazione, sicché anche per le prime deve ritenersi ammissibile la spedizione dell'atto di riesame a mezzo di raccomandata, non ostandovi, in mancanza di una ratio differenziatrice, la riformulazione del solo comma 4 dell'art. 309 c.p.p. ad opera della legge n. 332 del 1995. Inoltre si sostiene che l'interesse al ricorso permane, anche in relazione a quanto previsto dall'art. 405 comma 1-bis c.p.p., pur dopo la sopravvenuta "perdita di efficacia della misura" (recte, del provvedimento di sequestro). Diritto 1. La questione di diritto implicata dal ricorso, a prescindere dalle particolarità della fattispecie concreta, è riassumibile nel seguente quesito: "se la richiesta di riesame del provvedimento che dispone o convalida un sequestro sia validamente proposta, ai sensi dell'art. 583 c.p.p., anche mediante telegramma o con trasmissione dell'atto a mezzo di posta raccomandata alla cancelleria del tribunale competente a norma dell'art. 324 comma 5 c.p.p."o 2. Al quesito deve essere data risposta affermativa. 3. Nella versione originaria del codice di rito, ai fini della presentazione delle richieste di riesame di misure cautelari personali o di provvedimenti di sequestro (non solo cautelari ma anche probatori), si rimandava alle "forme previste dall'articolo 582" (artt. 309 comma 4 e 324 comma 2). L'art. 582 c.p.p. disciplina, in via generale, le formalità della presentazione dell'atto di impugnazione, prevedendo, tra l'altro, che esso debba essere presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Questa ultima specificazione è però espressamente derogata per le richieste di riesame, che si presentano nella cancelleria del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento, se si tratta di richieste avverso provvedimenti di sequestro (art. 324 comma 5) o in quella del tribunale "distrettuale", se si tratta di richieste avverso provvedimenti di coercizione personale (art. 309 comma 7, come novellato dalla legge 8 agosto 1995, n. 332). Il mancato rinvio da parte degli artt. 309 e 324 c.p.p. all'art. 583 c.p.p., che prevede, anch'esso in via generale, che le impugnazioni possano essere proposte con telegramma o con atto trasmesso a mezzo di raccomandata (comma 1), e che in tal caso l'impugnazione si considera proposta dalla data di spedizione della raccomandata o del telegramma (comma 2), aveva fatto sorgere un contrasto interpretativo nell'ambito della Corte di cassazione, con riferimento, in genere, alle richieste di riesame: in alcune decisioni si era affermato che l'esclusivo rinvio alle forme dell'art. 582 c.p.p. rendesse inammissibile la proposizione della richiesta a mezzo di telegramma o con l'invio dell'atto per posta raccomandata, dato che queste forme erano previste dall'art. 583, che però non era richiamato dagli artt. 309 e 324 c.p.p.; secondo un opposto orientamento, il rinvio esplicito all'art. 582 implicava quello, ad esso complementare, all'art. 583. 4. Le Sezioni unite, investite della risoluzione del contrasto, avevano, con la sentenza emessa alla c.c. dell'il maggio 1993, ric. Esposito Nocerino, condiviso l'orientamento estensivo, affermando che: la specificità della procedura di riesame, rispetto alla disciplina generale delle impugnazioni, attiene essenzialmente alla individuazione dell'ufficio giudiziario ove l'atto deve essere presentato (non quello che ha emesso il provvedimento impugnato ma quello competente a decidere), come aveva già puntualizzato Sez. un., c.c. 18 giugno 1991, D'Alfonso; non era decisivo il rinvio operato dagli artt. 309 coma 4 e 324 comma 2 al solo art. 582 c.p.p., sia perché questa disposizione certamente non esaurisce la disciplina sulle impugnazioni in tema di riesame, sia perché il rinvio richiamava le modalità ordinarie della "presentazione" dell'atto di impugnazione, ma non escludeva che questa potesse avvenire con le modalità complementari indicate dall'art. 583 c.p.p., che significativamente si riferisce alla "proposizione" dell'atto di impugnazione, e quindi a una modalità particolare della "presentazione" dell'atto; non vi erano ragioni, neanche attinenti alla esigenza di celerità, per le quali nella procedura di riesame la modalità di spedizione per posta dovesse essere impedita, considerato che ove l'atto sia depositato nella pretura (ora tribunale o giudice di pace) del luogo ove si trovano le parti o i difensori o davanti a un agente consolare all'estero, questi uffici devono poi provvedere a trasmetterlo, per posta, alla cancelleria del tribunale del riesame. 5. Tali argomentazioni, mentre vennero fatte proprie da Sez. c.c. 22 aprile 1994, Sabato, furono consapevolmente contrastate, isolatamente, da una precedente sentenza della medesima Sez. Il (c.c. 13 ottobre 1993, ric. Ascione), secondo cui il rinvio fatto dall'art. 309 comma 4 alle forme dell'art. 582 era talmente "preciso e inequivocabile" da non poter essere integrato, a pena di un arbitrario ampliamento della sua portata, in contrasto con i criteri generali dettati dall'art. 12 delle preleggi, con quello all'art. 583, sia pure al fine di emendare, in via interpretativa, una svista del legislatore. Per il vero, anche Sez. I, c.c. 17 maggio 1994, Guerrieri, continua ad affermare che l'art. 583 c.p.p. non trova applicazione nel procedimento di riesame (nella specie, avverso un sequestro preventivo), non facendo però alcun riferimento alla citata pronuncia delle Sezioni unite. 6. Con l'art. 16 comma 2 della legge 8 agosto 1995, n. 332 venne modificato il comma 4 dell'art. 309 c.p.p., prevedendosi che per la richiesta di riesame relativa alle misure coercitive "si osservano le forme previste dagli articoli 582 e 583". L'estensione del richiamo all'art. 583 c.p.p. ha reso dunque testualmente incontrovertibile che l'atto di riesame in materia di coercizione personale possa essere inviato per telegramma o a mezzo di raccomandata. 7. In epoca successiva a tale intervento legislativo, incidente solo sull'art. 309, parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto tuttora validi gli approdi della citata sentenza delle Sezioni unite con riferimento anche alle richieste di riesame di provvedimenti di sequestro, essendosi osservato che non appariva interpretativamente corretto desumere dall'esplicita modifica dell'art. 309 una intenzione di segno opposto con riguardo alle richieste di riesame ex art. 324 (v. Sez. Il, c.c. 20 giugno 1997, Violante; Sez. V, c.c. 9 marzo 2006, Tavecchio). 8. Per contro, altra parte della giurisprudenza, che si compendia in due decisioni della Seconda sezione penale dal contenuto motivazionale identico (c.c. 16 ottobre 2003, Ferrigno; c.c. 31 ottobre 2003, De Gemini), basandosi esclusivamente sulla considerazione che la novella del 1995 non è intervenuta anche sul comma 2 dell'art. 324 c.p.p. - il quale, relativamente alle richieste di riesame di provvedimenti di sequestro, continua a mantenere il solo rinvio alle "forme previste dall'art. 582" -, ha ritenuto di individuare una intenzione differenziatrice del legislatore, razionalmente giustificabile sulla base delle diversità degli interessi in gioco e delle relative procedure, diretta a escludere l'ammissibilità della formalità della spedizione per telegramma o con posta raccomandata dell'atto di riesame dei provvedimenti di sequestro, a differenza di quanto stabilito per il riesame dei provvedimenti applicativi di misure personali coercitive. Questa linea interpretativa non è condivisibile. 9. Occorre partire dalla considerazione che con la giurisprudenza da ultimo richiamata non si contesta l'esattezza degli argomenti esposti nella sentenza delle Sezioni unite Esposito Mocerino, ma, come detto, si trae esclusivamente dalla novità normativa costituita dalla modifica dell'art. 309 comma 4 c.p.p. ad opera della legge n. 332 del 1995 la conseguenza che, non essendo il legislatore intervenuto parallelamente anche sull'art. 324, si sia inteso escludere, per le sole richieste di riesame avverso provvedimenti di sequestro, l'ammissibilità della proposizione della richiesta a mezzo di telegramma o di plico raccomandato, ex art. 583 c.p.p. 10. Trattandosi di individuare l'intenzione del legislatore, in un contesto interessato da contrasti giurisprudenziali e, insieme, da una produzione legislativa a un tempo caotica e frenetica, sarebbe inappagante fondarsi sul mero rilievo per cui nell'art. 309 la legge "disse" e nell'art. 324 "tacque", in applicazione di un'antica regola interpretativa che è adeguata a epoche di legislazione ideale. 10.1. Occorre dunque contestualizzare il senso di quell'intervento, se possibile facendo riferimento, in primo luogo, ai lavori preparatori e, più precisamente, all'intenzione espressa dal legislatore. Ora, va ricordato che/nel corso dei lavori della Commissione Giustizia della Camera, venne rilevato (seduta del 13 dicembre 1994, on. Marino) che la modifica del comma 4 dell'art. 309 era opportuna in presenza di un contrasto giurisprudenziale sulla proponibilità della richiesta di riesame (in genere) con le modalità dell'art. 583 c.p.p.; contrasto che all'epoca era ancora non risolto, posto che, come prima precisato, alla sentenza delle Sezioni unite non si era del tutto adeguata la giurisprudenza delle singole sezioni, tanto che la riferita sentenza pronunciata su ricorso Ascione aveva argomentatamente dichiarato di dissentirvi e a questa si era affiancata altra decisione (la citata sentenza su ricorso Guerrieri), pur se con apparente non consapevolezza della divergenza dal dictum delle Sezioni unite. Inoltre, non traspare alcuna indicazione dai lavori preparatori nel senso che vi fosse una concorrente volontà di differenziare, quanto a forme di presentazione, l'una e l'altra richiesta di riesame; tanto più, è il caso di rilevare, che l'intervento del legislatore del 1995 aveva come principale obiettivo quello di una rivisitazione della disciplina in materia di misure cautelari personali, sicché è ben immaginabile che fosse fuori della attenzione riformatrice la materia del riesame avverso provvedimenti di natura "reale". 10.2. In secondo luogo, va accertato se, oggettivamente, una differenziazione quanto a modalità di proposizione delle richieste di riesame in materia personale e reale possa essere razionalmente giustificata in base alle caratteristiche dei due rimedi. Nella citata sentenza della Sez. TI, ric. Ferrigno, che costituisce il modello dell'altra decisione che ne riproduce la motivazione, e che sostiene la non casualità della differenziata previsione normativa, si evidenziano le ragioni di una simile diversità di disciplina: 1. In materia di libertà personale può giustificarsi un peculiare favore per una maggiore gamma di forme di esercizio del diritto di impugnazione; 2. Il luogo, le cadenze e gli effetti dei due procedimenti di riesame sono non poco differenti; 3. Il ricorso per cassazione ha un ambito diverso a seconda che si verta in materia personale o reale. Ora, quanto al primo punto, va osservato che non si coglie alcuna ragione per escludere per le sole richieste di riesame in materia "reale" forme di presentazione che sono comuni indistintamente a ogni altra impugnazione penale, in base alla disciplina generale, applicabile alle più varie materie, che non distingue affatto tra natura degli interessi in gioco; quanto al secondo, che è irrilevante una diversità di effetti, di cadenze e di luogo di presentazione tra le due procedure, se non si colleghi razionalmente tale indiscutibile dato alla esigenza o anche solo alla opportunità di una diversità di forme di presentazione (ora più variegate, ora meno), esigenza che non solo non è stata messa in luce dalla giurisprudenza di cui si discute, né mai dalla dottrina, ma che non è nemmeno oggettivamente ipotizzabile; quanto al terzo, che la limitazione del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 325 comma 1 c.p.p., al solo caso della "violazione di legge", a differenza di quanto previsto dall'art. 311 c.p.p., non ha evidentemente nulla a che vedere, sia dal punto di vista normativo sia da quello logico, con la disciplina delle formalità di proposizione della precedente impugnazione. L'unico dato di rilievo che potrebbe essere evocabile con riferimento al thema decidendum, in quanto potenzialmente interferente proprio con le modalità di presentazione della richiesta di riesame, è quello della oggettiva maggiore urgenza della decisione in materia di libertà personale, tenuto conto dei valori implicati. Ma proprio questo aspetto avrebbe potuto semmai far propendere il legislatore a escludere dalla materia regolata dall'art. 309 c.p.p., e non da quella dell'art. 324, forme di proposizione della richiesta meno affidabili circa la celerità della loro definizione. Scelta che invece non è stata adottata, non solo perché in via interpretativa ciò doveva ab origine essere ritenuto, stando alle puntuali osservazioni della citata sentenza delle Sezioni unite Esposito Mocerino, ma perché positivamente esclusa dalla ricordata novellazione dell'art. 309 comma 4 c.p.p. ad opera della legge n. 332 del 1995. 10.3. In terzo luogo, anche ove mai sussistessero dubbi interpretativi, occorrerebbe privilegiare il favor impugnationis (v. per il principio, tra le altre, Sez. un., c.c. 31 ottobre 2001, Bonaventura), tanto più che nel senso dell'ammissibilità del ricorso al mezzo postale ai fini della proposizione di atti di impugnazione si indirizzano esigenze di effettività della tutela giurisdizionale che attraversano le più diverse forme di contenzioso, come testimoniato anche dalla giurisprudenza costituzionale (v. sent. n. 98 del 2004, in tema di opposizione a ordinanza-ingiunzione; sent. n. 520 del 2002, in tema di ricorso alla commissione tributaria). Una limitazione delle modalità di presentazione della richiesta di riesame per i soli provvedimenti di sequestro parrebbe anzi sacrificare irragionevolmente le esigenze di tutela giurisdizionale, sol che si consideri che tale genere di provvedimenti sono idonei a incidere sulla posizione soggettiva non solo della persona sottosta a indagini ma anche di quella di ogni altro interessato (v. art. 324 comma 1 c.p.p.). 11. Va dunque affermato il seguente principio di diritto: "La richiesta di riesame del provvedimento che dispone o convalida un sequestro è validamente proposta, ai sensi dell'art. 583 c.p.p., anche con telegramma o con trasmissione dell'atto a mezzo di raccomandata alla cancelleria del tribunale competente a norma dell'art. 324 comma 5 c.p.p.". 12. Occorre peraltro considerare che, successivamente alla proposizione del ricorso, in data 19 dicembre 2007, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese ha disposto la restituzione delle taniche sequestrate agli aventi diritto Ivan Tonelli e Daniele Antonio Maran. Tale provvedimento priva dunque di interesse concreto la impugnazione, con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso addì 20 dicembre 2007.

Sentenza n. 231 del 20 dicembre 2007 - depositata il 07 gennaio 2008(Sezioni Unite Penali, Presidente T. Gemelli, Relatore

Corte Suprema di Cassazione


MISURE CAUTELARI – REALI – RIESAME – RICHIESTA – PRESENTAZIONE – MODALITA’
Le Sezioni unite, con due decisioni assunte in pari data e in continuità con quanto statuito dalla sentenza 11 maggio 1993 n. 8, Esposito, hanno affermato il principio secondo cui la richiesta di riesame del provvedimento che dispone o convalida un sequestro è validamente proposta anche con telegramma o con trasmissione dell’atto a mezzo di raccomandata alla cancelleria del tribunale competente, che si individua in quello del capoluogo di provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.

Testo Completo:
Fatto
1. Il giorno 1° febbraio 2007, personale appartenente alla Digos della Questura di Varese procedeva, ex art. 352 c.p.p., alla perquisizione dell'immobile di proprietà di Ivan TONELLI, sorpreso a vendere gasolio sulla pubblica via. All'esito della perquisizione, gli operanti sottoponevano a sequestro probatorio numerose taniche, cinque delle quali contenenti benzina, tredici contenenti gasolio, e altre ancora, in numero di quarantasette, vuote. Con decreto del 3 febbraio 2007, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese convalidava il sequestro, a norma dell'art. 355 c.p.p., ritenendo configurabili i reati di cui agli artt. 624, 625, 678, 679 c.p. Il decreto veniva notificato all'indagato in data 12 febbraio 2007 In data 22 febbraio 2007, l'avv. Fabrizio Busignani, che nel frattempo era stato nominato difensore dal Tonelli, inoltrava per posta raccomandata richiesta di riesame avverso il suddetto decreto del pubblico ministero. Il plico perveniva al Tribunale di Varese in data 24 febbraio 2007. Nella richiesta, sottoscritta dall'avv. Busignani, si chiedeva l'annullamento del decreto di convalida del sequestro e la restituzione delle cose sequestrate al Tonelli. Con decreto in data 26 febbraio 2007, il pubblico ministero disponeva la restituzione a Eugenio Villani, datore di lavoro del Tonelli, della benzina e del gasolio in sequestro, mantenendo il vincolo solo sulle taniche vuote.
2. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Varese, in funzione di giudice del riesame ex art. 324 c.p.p. in relazione all'art. 355 comma 3 c.p.p., dichiarava inammissibile la richiesta di riesame, in quanto "depositata solo il 24/2/07, quindi oltre il termine di dieci giorni fissato dagli arte. 355-324 c.p.p." e, relativamente al carburante, per sopravvenuta carenza di interesse stante l'intervenuto dissequestro, e condannava il Tonelli al pagamento delle spese del procedimento. 3. Ha proposto ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo dell'avv. Fabrizio Busignani, il quale, premessa una puntualizzazione cronologica dell'iter della procedura relativa al sequestro e alla impugnativa davanti al tribunale del riesame, denuncia la violazione degli artt. 324, 582 e 583 c.p.p.,, osservando che, come chiarito dalla Sezioni unite con la sentenza in data 11 maggio 1993, ric. Esposito Mocerino, seguita da conforme giurisprudenza, deve considerarsi rituale la formalità della spedizione della richiesta di riesame a mezzo posta, sicché erroneamente il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la richiesta. A detto motivo di ricorso, fanno poi seguito, con la precisazione che vengono fatte "per mero scrupolo", ulteriori doglianze, con le quali si evidenziano: l'assoluta mancanza di motivazione del decreto di convalida del sequestro, in particolare circa il nesso di pertinenza tra le cose e i reati ipotizzati; la non configurabilità delle fattispecie criminose; la carente indicazione delle esigenze di cautela o di urgenza; la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'indagato. Il ricorrente conclusivamente ha chiesto in via principale l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e conseguentemente del decreto di convalida del sequestro; e, in via subordinata, l'annullamento con rinvio della medesima ordinanza. 4. La Quinta Sezione della Corte di cassazione, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza resa alla Camera di consiglio del 18 settembre 2007, rilevato un contrasto di giurisprudenza circa la ritualità della proposizione a mezzo posta della richiesta di riesame in tema di provvedimenti di sequestro, ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite, a norma dell'art. 618 c p p In particolare nella ordinanza si osserva che pur dopo la sentenza delle Sezioni unite in data 11 maggio 1993, ric. Esposito Mocerino, con la quale era stato affermato che la richiesta di riesame ai sensi vuoi dell'art. 309 vuoi dell'art. 324 c.p.p. poteva essere proposta anche mediante telegramma o con atto trasmesso a mezzo di raccomandata, a norma dell'art. 583 c.p.p., alcune decisioni delle singole sezioni avevano mantenuto la linea interpretativa secondo cui il richiamo fatto dagli artt. 309 comma 4 e 324 comma 2 c.p.p. alle forme dell'art. 582 c.p.p., e non anche a quelle di cui all'art. 583 c.p.p., rendeva inammissibile una richiesta di riesame proposta con l'uso del mezzo postale; e che tale indirizzo dissenziente si è poi consolidato, con riguardo alle sole richieste di riesame avverso provvedimenti di sequestro, dopo che la legge 8 agosto 1995, n. 332, mentre aveva inserito nell'art. 309 comma 4 il richiamo anche alle forme dell'art. 583 c.p.p., aveva lasciato inalterato nell'art. 324 comma 2 c.p.p. il solo richiamo alle forme dell'art. 582 c.p.p. A tale restrittivo indirizzo, si osserva ancora nella ordinanza, continua però ad contrapporsi quello in linea con le indicazioni ermeneutiche segnate dalla sentenza Esposito Mocerino, la cui validità non poteva ritenersi essere intaccata dalle novità recate dalla legge n. 332 del 1995; ed è appunto su questa linea interpretativa che espressamente afferma di collocarsi il Collegio rimettente, richiamando le argomentazioni rese dalle Sezioni unite. Si è peraltro ritenuto che, perdurando e anzi precisandosi su altre basi normative il contrasto, fosse doveroso rimetterne la risoluzione alle Sezioni unite. 5. Nell'imminenza della udienza ha depositato memoria l'avv. Busignani, che insiste per l'accoglimento del ricorso, tra l'altro evidenziando che, come si ricava dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, sussiste una omogeneità di disciplina tra misure cautelari reali e personali quanto al regime della impugnazione, sicché anche per le prime deve ritenersi ammissibile la spedizione dell'atto di riesame a mezzo di raccomandata, non ostandovi, in mancanza di una ratio differenziatrice, la riformulazione del solo comma 4 dell'art. 309 c.p.p. ad opera della legge n. 332 del 1995. Inoltre si sostiene che l'interesse al ricorso permane, anche in relazione a quanto previsto dall'art. 405 comma 1-bis c.p.p., pur dopo la sopravvenuta "perdita di efficacia della misura" (recte, del provvedimento di sequestro). Diritto 1. La questione di diritto implicata dal ricorso, a prescindere dalle particolarità della fattispecie concreta, è riassumibile nel seguente quesito: "se la richiesta di riesame del provvedimento che dispone o convalida un sequestro sia validamente proposta, ai sensi dell'art. 583 c.p.p., anche mediante telegramma o con trasmissione dell'atto a mezzo di posta raccomandata alla cancelleria del tribunale competente a norma dell'art. 324 comma 5 c.p.p."o 2. Al quesito deve essere data risposta affermativa. 3. Nella versione originaria del codice di rito, ai fini della presentazione delle richieste di riesame di misure cautelari personali o di provvedimenti di sequestro (non solo cautelari ma anche probatori), si rimandava alle "forme previste dall'articolo 582" (artt. 309 comma 4 e 324 comma 2). L'art. 582 c.p.p. disciplina, in via generale, le formalità della presentazione dell'atto di impugnazione, prevedendo, tra l'altro, che esso debba essere presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Questa ultima specificazione è però espressamente derogata per le richieste di riesame, che si presentano nella cancelleria del tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento, se si tratta di richieste avverso provvedimenti di sequestro (art. 324 comma 5) o in quella del tribunale "distrettuale", se si tratta di richieste avverso provvedimenti di coercizione personale (art. 309 comma 7, come novellato dalla legge 8 agosto 1995, n. 332). Il mancato rinvio da parte degli artt. 309 e 324 c.p.p. all'art. 583 c.p.p., che prevede, anch'esso in via generale, che le impugnazioni possano essere proposte con telegramma o con atto trasmesso a mezzo di raccomandata (comma 1), e che in tal caso l'impugnazione si considera proposta dalla data di spedizione della raccomandata o del telegramma (comma 2), aveva fatto sorgere un contrasto interpretativo nell'ambito della Corte di cassazione, con riferimento, in genere, alle richieste di riesame: in alcune decisioni si era affermato che l'esclusivo rinvio alle forme dell'art. 582 c.p.p. rendesse inammissibile la proposizione della richiesta a mezzo di telegramma o con l'invio dell'atto per posta raccomandata, dato che queste forme erano previste dall'art. 583, che però non era richiamato dagli artt. 309 e 324 c.p.p.; secondo un opposto orientamento, il rinvio esplicito all'art. 582 implicava quello, ad esso complementare, all'art. 583. 4. Le Sezioni unite, investite della risoluzione del contrasto, avevano, con la sentenza emessa alla c.c. dell'il maggio 1993, ric. Esposito Nocerino, condiviso l'orientamento estensivo, affermando che: la specificità della procedura di riesame, rispetto alla disciplina generale delle impugnazioni, attiene essenzialmente alla individuazione dell'ufficio giudiziario ove l'atto deve essere presentato (non quello che ha emesso il provvedimento impugnato ma quello competente a decidere), come aveva già puntualizzato Sez. un., c.c. 18 giugno 1991, D'Alfonso; non era decisivo il rinvio operato dagli artt. 309 coma 4 e 324 comma 2 al solo art. 582 c.p.p., sia perché questa disposizione certamente non esaurisce la disciplina sulle impugnazioni in tema di riesame, sia perché il rinvio richiamava le modalità ordinarie della "presentazione" dell'atto di impugnazione, ma non escludeva che questa potesse avvenire con le modalità complementari indicate dall'art. 583 c.p.p., che significativamente si riferisce alla "proposizione" dell'atto di impugnazione, e quindi a una modalità particolare della "presentazione" dell'atto; non vi erano ragioni, neanche attinenti alla esigenza di celerità, per le quali nella procedura di riesame la modalità di spedizione per posta dovesse essere impedita, considerato che ove l'atto sia depositato nella pretura (ora tribunale o giudice di pace) del luogo ove si trovano le parti o i difensori o davanti a un agente consolare all'estero, questi uffici devono poi provvedere a trasmetterlo, per posta, alla cancelleria del tribunale del riesame. 5. Tali argomentazioni, mentre vennero fatte proprie da Sez. c.c. 22 aprile 1994, Sabato, furono consapevolmente contrastate, isolatamente, da una precedente sentenza della medesima Sez. Il (c.c. 13 ottobre 1993, ric. Ascione), secondo cui il rinvio fatto dall'art. 309 comma 4 alle forme dell'art. 582 era talmente "preciso e inequivocabile" da non poter essere integrato, a pena di un arbitrario ampliamento della sua portata, in contrasto con i criteri generali dettati dall'art. 12 delle preleggi, con quello all'art. 583, sia pure al fine di emendare, in via interpretativa, una svista del legislatore. Per il vero, anche Sez. I, c.c. 17 maggio 1994, Guerrieri, continua ad affermare che l'art. 583 c.p.p. non trova applicazione nel procedimento di riesame (nella specie, avverso un sequestro preventivo), non facendo però alcun riferimento alla citata pronuncia delle Sezioni unite. 6. Con l'art. 16 comma 2 della legge 8 agosto 1995, n. 332 venne modificato il comma 4 dell'art. 309 c.p.p., prevedendosi che per la richiesta di riesame relativa alle misure coercitive "si osservano le forme previste dagli articoli 582 e 583". L'estensione del richiamo all'art. 583 c.p.p. ha reso dunque testualmente incontrovertibile che l'atto di riesame in materia di coercizione personale possa essere inviato per telegramma o a mezzo di raccomandata. 7. In epoca successiva a tale intervento legislativo, incidente solo sull'art. 309, parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto tuttora validi gli approdi della citata sentenza delle Sezioni unite con riferimento anche alle richieste di riesame di provvedimenti di sequestro, essendosi osservato che non appariva interpretativamente corretto desumere dall'esplicita modifica dell'art. 309 una intenzione di segno opposto con riguardo alle richieste di riesame ex art. 324 (v. Sez. Il, c.c. 20 giugno 1997, Violante; Sez. V, c.c. 9 marzo 2006, Tavecchio). 8. Per contro, altra parte della giurisprudenza, che si compendia in due decisioni della Seconda sezione penale dal contenuto motivazionale identico (c.c. 16 ottobre 2003, Ferrigno; c.c. 31 ottobre 2003, De Gemini), basandosi esclusivamente sulla considerazione che la novella del 1995 non è intervenuta anche sul comma 2 dell'art. 324 c.p.p. - il quale, relativamente alle richieste di riesame di provvedimenti di sequestro, continua a mantenere il solo rinvio alle "forme previste dall'art. 582" -, ha ritenuto di individuare una intenzione differenziatrice del legislatore, razionalmente giustificabile sulla base delle diversità degli interessi in gioco e delle relative procedure, diretta a escludere l'ammissibilità della formalità della spedizione per telegramma o con posta raccomandata dell'atto di riesame dei provvedimenti di sequestro, a differenza di quanto stabilito per il riesame dei provvedimenti applicativi di misure personali coercitive. Questa linea interpretativa non è condivisibile. 9. Occorre partire dalla considerazione che con la giurisprudenza da ultimo richiamata non si contesta l'esattezza degli argomenti esposti nella sentenza delle Sezioni unite Esposito Mocerino, ma, come detto, si trae esclusivamente dalla novità normativa costituita dalla modifica dell'art. 309 comma 4 c.p.p. ad opera della legge n. 332 del 1995 la conseguenza che, non essendo il legislatore intervenuto parallelamente anche sull'art. 324, si sia inteso escludere, per le sole richieste di riesame avverso provvedimenti di sequestro, l'ammissibilità della proposizione della richiesta a mezzo di telegramma o di plico raccomandato, ex art. 583 c.p.p. 10. Trattandosi di individuare l'intenzione del legislatore, in un contesto interessato da contrasti giurisprudenziali e, insieme, da una produzione legislativa a un tempo caotica e frenetica, sarebbe inappagante fondarsi sul mero rilievo per cui nell'art. 309 la legge "disse" e nell'art. 324 "tacque", in applicazione di un'antica regola interpretativa che è adeguata a epoche di legislazione ideale. 10.1. Occorre dunque contestualizzare il senso di quell'intervento, se possibile facendo riferimento, in primo luogo, ai lavori preparatori e, più precisamente, all'intenzione espressa dal legislatore. Ora, va ricordato che/nel corso dei lavori della Commissione Giustizia della Camera, venne rilevato (seduta del 13 dicembre 1994, on. Marino) che la modifica del comma 4 dell'art. 309 era opportuna in presenza di un contrasto giurisprudenziale sulla proponibilità della richiesta di riesame (in genere) con le modalità dell'art. 583 c.p.p.; contrasto che all'epoca era ancora non risolto, posto che, come prima precisato, alla sentenza delle Sezioni unite non si era del tutto adeguata la giurisprudenza delle singole sezioni, tanto che la riferita sentenza pronunciata su ricorso Ascione aveva argomentatamente dichiarato di dissentirvi e a questa si era affiancata altra decisione (la citata sentenza su ricorso Guerrieri), pur se con apparente non consapevolezza della divergenza dal dictum delle Sezioni unite. Inoltre, non traspare alcuna indicazione dai lavori preparatori nel senso che vi fosse una concorrente volontà di differenziare, quanto a forme di presentazione, l'una e l'altra richiesta di riesame; tanto più, è il caso di rilevare, che l'intervento del legislatore del 1995 aveva come principale obiettivo quello di una rivisitazione della disciplina in materia di misure cautelari personali, sicché è ben immaginabile che fosse fuori della attenzione riformatrice la materia del riesame avverso provvedimenti di natura "reale". 10.2. In secondo luogo, va accertato se, oggettivamente, una differenziazione quanto a modalità di proposizione delle richieste di riesame in materia personale e reale possa essere razionalmente giustificata in base alle caratteristiche dei due rimedi. Nella citata sentenza della Sez. TI, ric. Ferrigno, che costituisce il modello dell'altra decisione che ne riproduce la motivazione, e che sostiene la non casualità della differenziata previsione normativa, si evidenziano le ragioni di una simile diversità di disciplina: 1. In materia di libertà personale può giustificarsi un peculiare favore per una maggiore gamma di forme di esercizio del diritto di impugnazione; 2. Il luogo, le cadenze e gli effetti dei due procedimenti di riesame sono non poco differenti; 3. Il ricorso per cassazione ha un ambito diverso a seconda che si verta in materia personale o reale. Ora, quanto al primo punto, va osservato che non si coglie alcuna ragione per escludere per le sole richieste di riesame in materia "reale" forme di presentazione che sono comuni indistintamente a ogni altra impugnazione penale, in base alla disciplina generale, applicabile alle più varie materie, che non distingue affatto tra natura degli interessi in gioco; quanto al secondo, che è irrilevante una diversità di effetti, di cadenze e di luogo di presentazione tra le due procedure, se non si colleghi razionalmente tale indiscutibile dato alla esigenza o anche solo alla opportunità di una diversità di forme di presentazione (ora più variegate, ora meno), esigenza che non solo non è stata messa in luce dalla giurisprudenza di cui si discute, né mai dalla dottrina, ma che non è nemmeno oggettivamente ipotizzabile; quanto al terzo, che la limitazione del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 325 comma 1 c.p.p., al solo caso della "violazione di legge", a differenza di quanto previsto dall'art. 311 c.p.p., non ha evidentemente nulla a che vedere, sia dal punto di vista normativo sia da quello logico, con la disciplina delle formalità di proposizione della precedente impugnazione. L'unico dato di rilievo che potrebbe essere evocabile con riferimento al thema decidendum, in quanto potenzialmente interferente proprio con le modalità di presentazione della richiesta di riesame, è quello della oggettiva maggiore urgenza della decisione in materia di libertà personale, tenuto conto dei valori implicati. Ma proprio questo aspetto avrebbe potuto semmai far propendere il legislatore a escludere dalla materia regolata dall'art. 309 c.p.p., e non da quella dell'art. 324, forme di proposizione della richiesta meno affidabili circa la celerità della loro definizione. Scelta che invece non è stata adottata, non solo perché in via interpretativa ciò doveva ab origine essere ritenuto, stando alle puntuali osservazioni della citata sentenza delle Sezioni unite Esposito Mocerino, ma perché positivamente esclusa dalla ricordata novellazione dell'art. 309 comma 4 c.p.p. ad opera della legge n. 332 del 1995. 10.3. In terzo luogo, anche ove mai sussistessero dubbi interpretativi, occorrerebbe privilegiare il favor impugnationis (v. per il principio, tra le altre, Sez. un., c.c. 31 ottobre 2001, Bonaventura), tanto più che nel senso dell'ammissibilità del ricorso al mezzo postale ai fini della proposizione di atti di impugnazione si indirizzano esigenze di effettività della tutela giurisdizionale che attraversano le più diverse forme di contenzioso, come testimoniato anche dalla giurisprudenza costituzionale (v. sent. n. 98 del 2004, in tema di opposizione a ordinanza-ingiunzione; sent. n. 520 del 2002, in tema di ricorso alla commissione tributaria). Una limitazione delle modalità di presentazione della richiesta di riesame per i soli provvedimenti di sequestro parrebbe anzi sacrificare irragionevolmente le esigenze di tutela giurisdizionale, sol che si consideri che tale genere di provvedimenti sono idonei a incidere sulla posizione soggettiva non solo della persona sottosta a indagini ma anche di quella di ogni altro interessato (v. art. 324 comma 1 c.p.p.). 11. Va dunque affermato il seguente principio di diritto: "La richiesta di riesame del provvedimento che dispone o convalida un sequestro è validamente proposta, ai sensi dell'art. 583 c.p.p., anche con telegramma o con trasmissione dell'atto a mezzo di raccomandata alla cancelleria del tribunale competente a norma dell'art. 324 comma 5 c.p.p.". 12. Occorre peraltro considerare che, successivamente alla proposizione del ricorso, in data 19 dicembre 2007, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese ha disposto la restituzione delle taniche sequestrate agli aventi diritto Ivan Tonelli e Daniele Antonio Maran. Tale provvedimento priva dunque di interesse concreto la impugnazione, con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Così deciso addì 20 dicembre 2007.