21 dicembre 2007

«Foto porno di bimbi nel pc di Alberto» Corriere della Sera

«Foto porno di bimbi nel pc di Alberto» Corriere della Sera
VIGEVANO (Pavia) — Un altro giorno da dimenticare per Alberto Stasi. Dopo i sospetti e i dubbi che gli hanno cucito addosso l'etichetta di presunto assassino, ieri un'altra accusa, un'ipotesi infame: detenzione e divulgazione di materiale pedo-pornografico, un reato punibile con la reclusione da uno a 5 anni. Secondo gli investigatori è la possibile chiave per la svolta del delitto di Chiara Poggi, uccisa la mattina del 13 agosto a Garlasco. Per Alberto l'ennesimo macigno che arriva proprio quando, a malapena, era riuscito a riprendersi la vita di sempre: gli studi, le uscite con gli amici, la prospettiva di un Natale quasi normale.La mossa della pm Rosa Muscio è scattata, a sorpresa, alle 15,20. Alberto, nascosto dietro al cappuccio del suo piumino verde-beige, è entrato in Procura a Vigevano accompagnato dai suoi tre avvocati. Lui, che da tre giorni sapeva di dover comparire per la quinta volta davanti al magistrato (senza conoscerne tuttavia il motivo), è rimasto impietrito leggendo i due distinti capi d'imputazione che gli venivano contestati. Il più grave: divulgazione «per via telematica, attraverso il software "e-mule", di materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni 18». In particolare due immagini e un filmato che ritraevano «minori nudi » e «in atti sessuali con altri minori e/o adulti»; fatto che sarebbe stato commesso tra il 6 e il 17 dicembre dello scorso anno. Poi, dicono le carte, Alberto si sarebbe «procurato» o avrebbe «comunque detenuto » anche altro materiale pedopornografico, scaricato sia sul suo computer Compaq (13 fotografie e 4 filmati), sia sulla chiavetta Usb Compass (dove sono stati rintracciati altri 5 filmati). Davanti al magistrato Alberto Stasi si è limitato a scuotere la testa. Poi, dietro consiglio del professor Angelo Giarda, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Alle 16.20 il ritorno a casa.
Le tracce delle immagini che, a detta di chi le ha viste, ritraevano in atteggiamenti intimi anche ragazzini in tenera età, erano state trovate dagli esperti informatici del Ris di Parma durante le analisi del computer di Alberto. E il risultato, inedito, era stato scritto nero su bianco nella relazione finale depositata il 12 dicembre in Procura. Da ieri gli avvocati del giovane si sono chiusi nel silenzio. «Desideriamo sapere come sono state effettuate le analisi del computer», avevano però anticipato nei giorni scorsi, promettendo battaglia sulla validità della prova in sede di giudizio. Schermaglie tra accusa e difesa che non ruotano soltanto intorno a quel pc. Ci sono le «scarpe pulite», ad esempio. Ieri, dalle 9 del mattino fino a sera, i carabinieri sono tornati nella villetta del massacro con un tecnico nominato dalla Procura per ulteriori rilievi. Un ingegnere di Torino è stato incaricato di eseguire una serie di accertamenti per provare che Alberto non sarebbe mai potuto uscire da villa Poggi con le suole delle scarpe pulite (così come è avvenuto).

Una perizia della difesa, invece, dovrà dimostrare l'esatto contrario. Infine, i pedali della bicicletta su cui il Ris ha trovato tracce di Dna di Chiara Poggi. Per l'accusa è quasi ovvio che su quei pedali ci sia il sangue della vittima, ma l'ipotesi viene ribaltata dagli avvocati di Alberto: «Siamo in possesso di nuovi elementi— precisa il professor Giarda —. Abbiamo la certezza quasi scientifica che quelle tracce non sono di natura ematica». Certo adesso, dopo le accuse di ieri, non è quel Dna a far chiudere la bocca ai legali. E a tormentare, ancora una volta, le notti di Alberto.
Erika Camasso21 dicembre 2007

La Repubblica.it » News

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OMICIDIO PAVIA: DIFESA STASI, PERIZIA SU PC E' NULLA
La difesa di Alberto Stasi, il giovane indagato per l'omicidio, a Garlasco, di Chiara Poggi, contesta la modalita' investigativa con la quale e' stata ricavata la nuova accusa di pedopornografia nei confronti del giovane e si riserva una valutazione sul contenuto del materiale trovato nel pc. "Quanto alla modalita' d'indagine - spiega Fabio Giarda, che, col padre Angelo, e' uno degli avvocati di Stasi - e' il solito discorso: la perizia dell'accusa sul pc e' stata effettuata non rispettando il diritto della difesa e, poiche' si tratta di un accertamento irripetibile, e' nulla. Quanto al contenuto, nella nuova contestazione si fa riferimento a filmati e foto di minori di 18 anni, ma di piu' non sappiamo: per esempio, non e' indicato se si tratta di bambini o, per esempio, di minori 17enni. Attendiamo di saperne di piu' prima di impostare la nostra difesa". Per saperne di piu', tuttavia, i legali di Stasi devono sperare nel dissequestro del computer, tuttora nelle mani dell'accusa, e nella possibilita' di effettuare su di esso una nuova perizia. Quest'ultima pero', non e' detto che sia possibile perche', se davvero si tratta di un accertamento irripetibile, i legali di Stasi potrebbero non avere tecnicamente nelle mani le stesse carte che ha potuto 'giocare' l'accusa. Quanto al fatto che le foto trovate nel computer di Alberto possano spiegare il movente dell'omicidio, Giarda esprime forti perplessita': "Non so se l'individuazione del movente nelle foto e nei filmati sia una costruzione mediatica e quanto, effettivamente, la Procura ci stia pensando".

31 ottobre 2007

Quotidiano Net - Elogio delle Jene, condannate perché volevano fare il test antidroga alla Casta

Quotidiano Net - Elogio delle Jene, condannate perché volevano fare il test antidroga alla Casta

Firenze, 18 ottobre 2007 - Che Paese è questo? Parecchi dei nostri deputati vanno a Montecitorio dopo essersi fatti qualche canna o aver tirato su qualche pista di coca, però non si può dire. Anzi, si può dire ma non accertare.

E’ quanto è accaduto a due Iene (care, mitiche Iene, grazie di esistere) che nell’ottobre dello scorso anno, con la scusa di fare delle interviste erano riuscite ad impossessarsi (grazie anche a dei tamponi giustificati dal trucco per meglio apparire) del preziosissimo sudore di cinquanta parlamentari che stavano entrando alla Camera. Sudore subito sottoposto ad analisi.

Dal che venne fuori che di quei cinquanta prodi (no, questa volta Romano non c’entra nulla) sedici avevano fatto uso di stupefacenti nelle trentasei ore precedenti l’improvvisato accertamento. Dodici avevano assunto cannabis, come si legge in termini burocratici (cioè si erano fatti delle canne come si dice volgarmente) e quattro avevano tirato su delle belle (si fa per dire) piste di coca.

Scandalo, riprovazione, accuse di lesa maestà, abominio. Non per gli onorevoli un po’ fatti, per le Iene. Ma come si erano permessi quei signori di Italia 1 (Davide Parenti e Matteo Viviani - nella foto) di fare una cosa del genere? Come gli era passato per la mente di importunare in tal maniera la Casta? Pensavano forse di essere in un Paese senza privacy? No, la privacy (quando gli pare: e tutte le intercettazioni che appaiono anche sui muri del condominio?) in questo Paese esiste eccome, e così il Garante proibì la messa in onda del servizio, comunque ampiamente pubblicizzato da anticipazioni. Punto, fine della vicenda.

La giustizia nel nostro Paese, si sa, va lenta, ma talvolta arriva. Per le Iene è arrivata abbastanza velocemente tanto che qualche giorno fa hanno pensato bene, per scansare chissà quali altre complicate vicende, di patteggiare una condanna a cinque mesi e dieci giorni per violazione della privacy. Pena comunque convertibile, ci informano, in una ammenda pecuniaria.

Ma come? Invece di premiarle per aver sollevato un problemino non da poco (parlamentari in carica drogati) la magistratura ce le condanna quelle due Iene? Niente da fare, la legge è la legge. Quelle due Iene dovevano essere punite per la loro alzata d’ingegno. Una decisione esemplare per tutte le Iene a venire, se qualcuno ci volesse riprovare a sollevare questioni così delicate.

E quei parlamentari «positivi» (e magari qualcun altro)? Forse continueranno a farsi. Chi di cannabis, chi di coca. Con molta, molta privacy. Ma Bertinotti, presidente della Camera, che pensa di tutto questo? Ah, saperlo.
di Sandro Bugialli

PI: La flat sul P2P? Irreale e sbagliata

PI: La flat sul P2P? Irreale e sbagliata

Diritto PRIVACY: CRONACA, NO A RIFERIMENTI INDIRETTI IDENTITA’ MINORI

Diritto PRIVACY: CRONACA, NO A RIFERIMENTI INDIRETTI IDENTITA’ MINORI

(AGI) - Roma, 30 ott. - Non basta omettere il cognome per tutelare un minore, se poi nell’articolo vengono forniti particolari tali da renderlo facilmente identificabile. E’ quanto ribadisce l’Autorita’ garante per la protezione dei dati personali (relatore Mauro Paissan) nell’accogliere il ricorso di una donna che riteneva di aver subito una violazione dei propri dati e di quelli dei propri figli da parte di un quotidiano. La vicenda si riferisce ad un fatto di cronaca nel quale era coinvolto un bambino che, conteso dai genitori separati, era poi stato ricoverato in ospedale.“Motivo del ricorso della donna - spiega la newsletter settimanale del Garante - non era tanto il fatto in se’ quanto quello che nell’articolo, pur non essendo citato il cognome degli interessati, venivano forniti numerosi particolari che avrebbero facilmente permesso l’identificazione dei soggetti: citta’ in cui si e’ svolta la vicenda, nome, eta’ e particolari dettagliati sulla salute del minore, nome ed eta’ della sorella (pure minore), nomi ed iniziali del cognome dei genitori, loro professione, luogo di attuale residenza della madre”. Molti, dunque, gli elementi forniti dal giornalista sulla base dei quali sarebbe stato possibile, ad un numero significativo di persone, riconoscere la ricorrente e i suoi due figli.Il Garante riafferma che, anche quando si ricorre all’oscuramento dei nomi, “se si forniscono dettagli tali da poter identificare la persona oggetto del fatto di cronaca si lede il suo diritto alla privacy, circostanza ancora piu’ grave se si tratta di un minore”. Rigettata invece la seconda parte dell’istanza della ricorrente, nella quale si chiedeva la cancellazione dall’archivio del quotidiano delle informazioni relative ai protagonisti della vicenda e di poter conoscere l’origine delle stesse: per quest’ultima richiesta, in particolare, l’Autorita’ ribadisce che va rispettato il segreto professionale del giornalista.Il Garante ha quindi vietato al quotidiano l’ulteriore utilizzo dei dati in questione “quale misura necessaria a tutela dei diritti e delle liberta’ fondamentali degli interessati”, stabilendo, a carico della societa’ editrice, un risarcimento pari a 300 euro. (AGI)Bas

Call center, 60 multe da garante privacy ai gestori telefonici | Reuters.it

Call center, 60 multe da garante privacy ai gestori telefonici Reuters.it

MILANO (Reuters) - Ammontano ad un totale di 260mila euro le 60 sanzioni applicate dal garante della privacy a gestori di telefonia fissa e mobile sull'operato dei call center.
Le sanzioni, spiega una nota dell'Authorty, riguardano soprattutto l'attivazione di servizi non richiesti -- come cambi di operatore, linee Internet veloci, servizi aggiuntivi -- e, in misura minore, telefonate pubblicitarie indesiderate.
Il garante aggiunge che le società hanno preferito, in molti casi, pagare subito in misura ridotta, previsto per chi non impugna la contestazione della violazione.
Molte sono state le segnalazioni da parte degli utenti, relativamente ai costi e disagi legati ad un uso scorretto dei propri dati personali da parte delle società di telefonia.
Le sanzioni, spiega la nota, derivano da una serie di controlli presso i call center, da cui è emerso che gli operatori "non informavano adeguatamente le persone contattate o operavano addirittura senza dire all'utente che si stavano raccogliendo i suoi dati, per quali finalità venivano usati, se era obbligato o meno a comunicarli, quali erano i suoi diritti".
Il garante sottolinea che i call center sono obbligati ad informare con la massima trasparenza gli utenti sulla provenienza dei dati e sul loro uso e, se richiesto, di registrare la volontà dell'abbonato di non essere più disturbato.
Chi non si attiene al codice della privacy rischia una sanzione che va da 3.000 a 18.000 euro, ma che può essere aumentata sino al triplo a seconda delle condizioni economiche della società.

25 settembre 2007

Google propone standard minimi per la privacy globale - LASTAMPA.it

Google propone standard minimi per la privacy globale - LASTAMPA.it

Insider Marcolin: presidente patteggia, ad Palladio a giudizio | Reuters.it

Insider Marcolin: presidente patteggia, ad Palladio a giudizio Reuters.it

MILANO (Reuters) - Il gup di Milano Luisa Savoia ha rinviato oggi a giudizio per insider trading Giorgio Bravo, amministratore delegato di Palladio, a conclusione dell'udienza preliminare sul presunto insider a carico dei vertici della società di produzione di occhiali Marcolin.
Lo hanno riferito fonti giudiziarie, aggiungendo che il processo a carico dell'ad di Palladio -- la finanziaria prossima all'aggregazione con Fingruppo, primo socio di Hopa -- che partecipava in misura rilevante al capitale di Marcolin, inizierà il prossimo 24 gennaio davanti alla terza sezione del Tribunale penale di Milano.
Nell'ambito dell'udienza di oggi, dicono le fonti, il gup ha anche formalizzato il patteggiamento del presidente di Marcolin, Giovanni Coffen Marcolin, e della moglie Maria Giovanna Zandegiacomo, a 30.000 euro di multa.
Secondo l'accusa, i due, sapendo che Dolce e Gabbana non avrebbero rinnovato il contratto di licenza con Marcolin alla scadenza, avevano venduto titoli della società.
Il mancato rinnovo della licenza, che aveva iniziato a concretizzarsi almeno a partire da aprile 2004, era stato comunicato al mercato solo la sera del 7 ottobre 2004 mentre vendite di titoli da parte del presidente e della moglie si erano verificate a settembre.
Il titolo Marcolin valeva 1,2 euro alla chiusura del 7 ottobre per poi crollare a 0,88 euro fino all'11 di ottobre. A settembre Marcolin quotava 1-1,17 euro.

Garante Privacy, ecco le regole a difesa dei dati telefonici e web - Scienza & Tecnologia - Repubblica.it

Garante Privacy, ecco le regole a difesa dei dati telefonici e web - Scienza & Tecnologia - Repubblica.it

Il documento dell'authority sarà al centro di una consultazione pubblica con istituzioni, aziende e associazioni di consumatori
Garante Privacy, ecco le regole a difesa dei dati telefonici e web
Autenticazione e tracciamento degli accessi degli incaricati
Cifratura del traffico per evitare acquisizione indebita o fortuita
ROMA
I dati di traffico telefonico e telematico, ma non i contenuti, che riguardano le telefonate, gli sms, gli mms, gli indirizzi email e la localizzazione dei cellulari, da oggi devono essere "blindati". Si tratta infatti di dati molto delicati perché sono fondamentali per ricostruire le relazioni interpersonali di milioni di cittadini italiani ed è per questo che il Garante per la privacy è intervenuto per individuare le regole essenziali per la messa in sicurezza di questi dati conservati a fini di accertamento e repressione dei reati.
Vista la delicatezza della materia l'Autorità ha però avviato anche una consultazione pubblica, che si concluderà il 31 ottobre, con le istituzioni interessate (in particolare Ministero della giustizia, Ministero dell'interno e Csm), con le aziende e le relative associazioni di categorie nonchè con le associazioni dei consumatori. Lo scopo è quello di acquisire osservazioni e commenti utili per l'adozione di un definitivo provvedimento in materia.
Potrebbero quindi essere apportate modifiche ma oggi il documento indica già in maniera organica le misure da rispettare, secondo il Garante, per la conservazione dei dati a fini di giustizia da parte di gestori telefonici e fornitori di servizi di comunicazione elettronica. Questo per rispondere alla necessità di assicurare una efficace protezione di dati personali riguardanti milioni di cittadini, sia a tutela della sfera privata di questi ultimi sia nell'interesse stesso di magistratura e forze di polizia.
Il documento, del quale è stato relatore Francesco Pizzetti, è frutto di un'attività, anche ispettiva molto articolata, iniziata alla fine del 2005 e portata avanti in questi due anni. Il documento, nel chiarire i soggetti destinatari e i dati oggetto di conservazione, stabilisce prescrizioni tecnico organizzative riguardo alla loro tenuta e alla loro messa in sicurezza.
In particolare prevede: adozione di avanzati sistemi di autenticazione per gli incaricati che possono avere accesso ai dati; conservazione separata dei dati tenuti per finalità di accertamento e repressione dei reati da quelli utilizzati per funzioni aziendali (es., fatturazione, marketing, statistiche); immediata cancellazione dei dati una volta decorso il tempo previsto di conservazione; tracciamento di ogni accesso e operazione compiuta da parte degli incaricati; introduzione di sistemi di segnalazione di comportamenti anomali; controlli interni periodici sulla legittimità degli accessi ai dati da parte degli incaricati, sul rispetto delle regole e delle misure organizzative tecniche e di sicurezza prescritte dal Garante; sistemi di cifratura a protezione dei dati di traffico contro rischi di acquisizione indebita o fortuita.
Sono esclusi dall'ambito di applicazione di queste regole i gestori di esercizi pubblici e internet café, i gestori di siti che diffondono contenuti sulla rete ('content provider'), i gestori dei motori di ricerca, le aziende o le amministrazioni pubbliche che mettono a disposizione del personale reti telefoniche e informatiche (es. centralini aziendali) o che si avvalgono di server messi a disposizione da altri soggetti.
(25 settembre 2007)

Crac Cirio, rinviati a giudizio Cragnotti, Geronzi e Fiorani - cronaca - Repubblica.it

Crac Cirio, rinviati a giudizio Cragnotti, Geronzi e Fiorani - cronaca - Repubblica.it:

L'ex presidente del gruppo Cirio, Sergio CragnottiROMA - Sergio Cragnotti, Cesare Geronzi e Giampiero Fiorani sono stati rinviati a giudizio dal gup di Roma, Barbara Callari, per il crac del gruppo Cirio. Oltre a loro, subiranno un processo altre 32 persone più la società di revisione Deloitte & Touche, indagata come persona giuridica. Prosciolti nove imputati, tra cui gli ex manager del San Paolo Imi, Rainer Masera, Luigi Maranzana e Massimo Mattera. Assolto l'ex componente del collegio dei sindaci di Cirio holding, Antonio Petrucci, l'unico che aveva chiesto e ottenuto il giudizio abbreviato. Per lui i pm avevano sollecitato una condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione. Il processo comincerà il 14 marzo prossimo davanti alla prima sezione penale del Tribunale. Rinviati a giudizio anche i familiari di Cragnotti, i figli Andrea, Elisabetta e Massimo, il genero Filippo Fucile, e la moglie Flora Pizzichemi. Tutti gli imputati dovranno rispondere, a vario titolo, dei reati di falso, truffa, e bancarotta in tutte le sue declinazioni (fraudolenta, preferenziale, distrattiva). La vicenda risale al 2003, quando il fallimento del gruppo Cirio, allora guidato da Cragnotti, aveva fatto andare in default obbligazioni per 1,125 miliardi di euro, emesse tra il 2000 e il 2002. L'udienza preliminare era cominciata nel giugno dello scorso anno con la richiesta di costituzione di parte civile avanzata da circa 1500 persone (pochissime rispetto ai 12mila risparmiatori che secondo la procura di Roma sarebbero stati danneggiati dal fallimento del gruppo Cirio). (25 settembre 2007)

24 luglio 2007

Peppermint, la privacy vale più  del diritto d'autore - LASTAMPA.it

Peppermint, la privacy vale più del diritto d'autore - LASTAMPA.it
BRUNO RUFFILLI
TORINO In Italia non sono in molti a conoscere Carl Keaton e So Phat, e nemmeno James Kakande, un altro artista della scuderia Peppermint Jam, che in Germania ha scalzato Justin Timberlake dalla cima della top ten. L'etichetta, specializzata in rap e nu-soul, da noi è nota soprattuto per l'intensa attività del suo legale rappresentante Otto Mahlknecht: sono infatti quasi 3636 gli italiani che lo scorso aprile hanno ricevuto dall'avvocato una raccomandata con la richiesta di risarcimento danni per 330 euro.
Tutti sono stati identificati grazie al lavoro della ditta svizzera Logistep, che con un software antipirateria ha rintracciato uno ad uno i computer dove le canzoni della Peppermint Jam erano registrate come file Mp3, condivisi sulle reti Peer To Peer. Poi la casa discografica ha chiesto ai vari provider internet i dati del titolare dell'utenza corrispondente all'indirizzo Ip, che normalmente è associato ad un solo nominativo. Identificato il presunto colpevole, è partita la lettera: vi si sostiene, tra l'altro, che in base all'attuale legge sul diritto d'autore l'illegittima messa a disposizione di file coperti da copyright è un reato, segnalando implicitamente che il nocciolo della questione non è nell'aver scaricato illegalmente il brano (o i brani), ma nell'averlo successivamente condiviso con altri. Conseguenze: mancato guadagno per la Peppermint Jam e i suoi artisti, possibile denuncia penale contro l'autore dell'infrazione. Così il rappresentante dell'etichetta tedesca chiede che i file vengano cancellati e i danni risarciti; si impegna, qualora la risposta fosse affermativa, a non intentare altre azioni legali contro il destinatario della missiva. Dopo le prime lettere arrivano le polemiche: nascono siti web dedicati (http://www.santapepper.com/), numerosi blogger si occupano del caso (ne scrive anche Beppe Grillo), la notizia rimbalza su giornali e televisioni. Anche Adiconsum e Altroconsumo fanno sentire la loro voce, come pure il Garante per la privacy, che si è costituito in giudizio per verificare se nella vicenda Peppermint Jam fossero stati rispettati tutti i diritti di protezione dei dati personali. Intanto, all'inizio di questo mese, arrivano le segnalazioni di nuove raccomandate, e sul web si parla di una seconda ondata di richieste di risarcimento da parte dell'etichetta di Hannover. La mossa coglie di sorpresa utenti, associazioni e autorità, dal momento che sul caso era atteso per il 18 luglio il pronunciamento del Tribunale di Roma.
E' arrivato, e non è stato favorevole: i ricorsi presentati da Peppermint Jam e da Techland (un'azienda di videogames pure cliente di Logistep) sono stati rigettati, perché la richiesta ai provider internet di fornire nomi e indirizzi degli abbonati è apparsa in contrasto con le normative che tutelano la privacy. Così sono state accolte le istanze del Garante e per ora la vicenda Peppermint è giunta ad un punto morto: si rallegrano le associazioni di consumatori, esultano i destinatari delle missive, che in massima parte non hanno pagato. Il senatore Fiorello Cortiana, della Consulta per la governance su Internet, parla sul suo blog di «spamming estorsivo», e segnala come questo pronunciamento segni un principio giurisprudenziale, per cui «anche in rete tocca alla magistratura e alle forze dell'ordine mettere in atto inchieste nel rispetto della legge». Sulla stessa linea pare muoversi anche la Ue: lo scorso venerdì, infatti, Juliane Kokott, avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, ha dichiarato che la normativa comunitaria non prevede alcun obbligo ai provider di fornire informazioni personali ai detentori dei diritti d'autore, anche quando questi sostengono che gli Ip rilevati sono di utenti che hanno commesso degli illeciti.
Tutti contenti, dunque, a parte Peppermint Jam? No: «Decisioni come quelle di questi giorni rischiano di favorire una pirateria indiscriminata», ha dichiarato Mario Allione, presidente del gruppo piccola e media industria di Fimi.
AVV: VALENTINA FREDIANI
A tutela dei propri interessi, la Peppermint ha invocato la legge 633/41 sul diritto d'autore (LDA). L'etichetta ha fatto valere l'art. 156 bis della LDA, vedendosi riconosciuto in primo luogo il diritto ad ottenere da Telecom i nominativi corrispondenti agli IP ritenuti coinvolti nella illecita condivisione. In secondo luogo, l'ordinanza emessa non ha ritenuto violata la normativa a tutela della privacy, non riconoscendo un diritto alla riservatezza all'utente: questi, infatti, nel momento in cui mette in condivisione dei file, ammette che altri possano accedere anche al proprio IP.
A ritenere ingiusta la pretesa della casa discografica e contrastare l'ordinanza 81901/2006, ci sono vari tuttavia vari appigli giuridici: a) l'art. 156 bis non è applicabile a singoli utenti ma solo a violazioni poste in essere su scala commerciale di carattere industriale o brevettale; b) l'istanza di richiesta all'Autorità competente in merito all'obbligo di esibizione di dati doveva essere giustificata, ma soprattutto proporzionata (e le modalità adottate da Peppermint appaiono carenti di proporzionalità, considerata l'invasività dell'azione); c) vi è una sostanziale violazione della privacy, laddove Peppermint ha raccolto dati personali senza alcun consenso e senza dare alcuna informativa (obbligatoria ai sensi del decreto legislativo n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali); d) i sistemi utilizzati da Peppermint non danno alcuna certezza circa l'identità effettiva del soggetto che avrebbe posto in condivisione i file protetti dal diritto d'autore.
Così, in questi giorni il Tribunale di Roma ha fatto marcia indietro, disconoscendo la legittimità della raccolta degli IP effettuata da Peppermint tramite la società Logistep, e giudicando illegittima la richiesta dei nominativi a Telecom. Risulta poi che oltre alla violazione della legge sulla privacy (dati raccolti senza consenso) la Peppermint abbia violato la normativa a tutela delle comunicazioni, ponendo in essere una condotta penalisticamente rilevante. E mentre nei Tribunali la battaglia prosegue, gli utenti che hanno ricevuto la richiesta di risarcimento si chiedono se pagare o meno. La risposta è semplice: ottemperare alle richieste di Peppermint rappresenta un'ammissione di colpevolezza, e inoltre il pagamento non mette al riparo da eventuali cause penali successive, dal momento che i reati in materia di diritto d'autore sono procedibili d'ufficio.

Scalate, Procura pronta a indagare sui politici - Il Sole 24 ORE

Scalate, Procura pronta a indagare sui politici - Il Sole 24 ORE. I primi di luglio del 2005 sono giorni cruciali per l'Unipol di Giovanni Consorte, annota il Gip milanese Clementina Forleo nella richiesta di utilizzazione a fini probatori – inviata al Parlamento – delle telefonate dei politici coinvolti nelle fallite scalate ad AntonVeneta, Bnl e Rcs. Il gruppo assicurativo bolognese, in quei giorni, è a un passo dall'Opa su Bnl, che sarà comunicata agli investitori il 18 luglio. Ma la marcia di avvicinamento alla banca è ostacolata da un problema serio: gli immobiliaristi del "contropatto", che detengono il 27,5% di Bnl, fanno melina. La loro quota è decisiva per il tentativo di scalata di Unipol. Ma essi pretendono un prezzo che la compagnia non può pagare. La preoccupazione di Consorte è che gli immobiliaristi aderiscano all'offerta di scambio su Bnl lanciata circa due mesi prima dal Bbva. Nel qual caso l'Opa di Unipol naufragherebbe. Occorre dunque agire subito per convincere Caltagirone, quale rappresentante del contropatto, a cambiare idea: affinché quel 27,5% finisca alla "rossa" Unipol, a un prezzo ragionevole.Consorte, che tiene informato di ogni sua mossa il vertice dei Ds, chiede così aiuto a Massimo D'Alema e al senatore Nicola Latorre, braccio destro del presidente dei Ds. Il 6 luglio 2005 i magistrati intercettano una sua conversazione con Latorre. Lamenta Consorte: «L'ingegnere», alias Caltagirone, «e i suoi accoliti si sono defilati e vogliono vendere» al Bbva la loro partecipazione in Bnl. «Noi gli abbiamo offerto due euro e sessanta, prendere o lasciare». Ma loro – lascia intendere – non ne vogliono sapere. Poi gli riferisce di Francesco Frasca, responsabile della Vigilanza di Bankitalia, al quale bisogna «dare una mano... perché lo stanno crocifiggendo per colpa di quel maiale del Governatore. Perché Frasca è un compagno...È un uomo distrutto...E comunque è una cosa che voglio parlare con te e con Massimo, a parte». «Loro (Caltagirone e gli altri, ndr) stanno provando a rilanciare...», stanno cercando di tirare su il prezzo, «però hanno capito che non c'è spazio...Adesso il problema qual è? Queste quote le devono comprare terzi». «E certo – commenta Latorre – non potete prenderle voi». Infatti, il 27,5% del contropatto sarà ripartito tra Crédit Suisse, Deutsche Bank e Nomura con un'opzione d'acquisto a favore di Unipol. «Se (gli immobiliaristi, ndr) non accettano – prosegue Consorte – vuol dire che hanno, cosa di cui ho gli elementi, trattato con gli spagnoli...Quindi io domani ho l'incontro con loro e ti dico come va a finire». Interviene Latorre: «Ma che deve fare una telefonata Massimo...all'ingegnere?» Consorte: «È meglio che Massimo fa una telefonata. Perché, a questo punto, se le cose non vengono fatte, si sa per colpa di chi...Massimo fa una telefonata e a quel punto abbiamo le prove che questi (Caltagirone e soci, ndr) hanno lavorato su due fronti...Non abbiamo i soldi per farla...Che poi non è vero neanche quello, non è che non abbiamo i soldi per farla, è che noi non possiamo farla se no ci accusano di aggiotaggio e di insider, capito?». Quindi, a rilevare quelle quote, per conto di Unipol, debbono essere altri soggetti: le tre banche estere, appunto. Latorre capisce e lo rassicura: «Domani mattina allerto Massimo...»Ma non è solo l'ambigua posizione dei "contropattisti" a mandare su tutte le furie Consorte: «Ti volevo sottollineare – dice ancora a Latorre – che il dottor Profumo (amministratore delegato di UniCredit, ndr), non m'ha dato una mano» e così anche Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa, e Pietro Modiano, direttore generale di Sanpaolo-Imi. «Qui dentro c'è una mafietta – commenta Consorte – Imi San Paolo, Unicredito, Banca Intesa e Capitalia, che ci sta letteralmente impedendo di fare l'operazione...Se l'Unipol fa st'operazione diventa il gruppo più importante in Italia...Alla fine faremo la lista, Nico'. Questa cosa bisogna farla, perché questi stanno semplicemente lavorando, io vorrei che ti fosse chiaro, contro di noi come Ds, non contro di noi...come Unipol...Se noi facciamo...st'operazione...sicuramente gli mettiamo una zeppa per i prossimi vent'anni...Cambiano i rapporti di potere in questo Paese...Domani, entro le due, ci sentiamo...Ti dico a che punto siamo e poi vediamo se Massimo deve fare una telefonata».Il giorno successivo, il 7 luglio 2005, verso le due e un quarto, scrive Clementina Forleo, Latorre richiama Consorte il quale gli spiega le difficoltà che sta incontrando la trattativa con Caltagirone, e i due convengono che è il caso che D'Alema telefoni all'ingegnere. Poi, in serata, Latorre lo richiama per conoscere l'esito della trattativa, e Consorte gli dà finalmente la buona novella: «Ci sono tutte le potenzialità per farla (l'Opa, ndr), adesso». Gli immobiliaristi hanno accettato di vendere a Unipol il loro 27,5% di Bnl a 2,7 euro per azione. E aggiunge: «Adesso ci dovete dare una mano a trovare i soldi». Passano altre tre ore, e alle 23,18 Latorre ritelefona a Consorte; accanto a sé, questa volta, ha D'Alema. Consorte riferisce a Latorre della riunione con Caltagirone: «Con questi signori abbiamo chiuso...Devo lavorare domani e dopodomani per avere la certezza dei soldi, poi andiamo avanti». «Va bene – gli risponde Latorre –. Se vuoi ti passo Massimo, eh! Te lo passo così vi salutate un attimo adesso...». D'Alema prende il telefono: «Massimo – gli dice accorato Consorte – ti giuro, il mestiere che faccio io più si passa inosservati e meglio è...Però, con l'ingegnere abbiamo chiuso l'accordo questa sera. Nel senso che loro...ci danno tutto...Adesso mi manca un passaggio importante e fondamentale. Sto riunendo i cooperatori perché sono tutti gasati, entusiasti...gli ho detto: "però dovete darmi dei soldi"». D'Alema: «Di quanto hai bisogno ancora?». Consorte: «Mah, non di tantissimo, di qualche centinaio di milione di euro». D'Alema: «Va bene. Vai avanti, vai! Facci sognare! Vai!». Consorte: «È da fare uno sforzo mostruoso, ma...vale la pena a un anno dalle elezioni». Conclusione del giudice Forleo: «La telefonata in questione è di estremo interesse, in quanto manifesta...la complicità nell'operazione dell'on. D'Alema, oltre che dello stesso Latorre, come si è visto resi direttamente edotti della penale illiceità della stessa». Se la giunta per le autorizzazioni a procedere consentirà alla Procura di Milano di acquisire agli atti dell'inchiesta le telefonate dei politici, per i due esponenti dei Ds si profila un avviso di garanzia per presunto concorso – accanto a Consorte – nei reati di aggiotaggio e insider trading.

20 luglio 2007

MF Dow Jones - News Italia - Borsa Italiana

MF Dow Jones - News Italia - Borsa Italiana. Adusbef integra espsoto alla Procura di Milano con ipotesi di reato di truffa nel caso di Banca Italease.

Milano Finanza Interactive Edition

Milano Finanza Interactive Edition. Giappone, Murakami condannato a 2 anni di prigione per insider trading.

Gay ucciso, convivente ammesso come parte civile al processo - cronaca - Repubblica.it

Gay ucciso, convivente ammesso come parte civile al processo - cronaca - Repubblica.it

19 luglio 2007

Rignano, la procura sequestra video del Tg5 Il garante della privacy avvia un'istruttoria - cronaca - Repubblica.it

Rignano, la procura sequestra video del Tg5 Il garante della privacy avvia un'istruttoria - cronaca - Repubblica.it
I carabinieri di Roma hanno sequestrato il video trasmesso ieri sera dal Tg5 sulle perizie in corso sui bambini di Rignano Flaminio. Il sequestro è stato disposto dalla procura di Tivoli che indaga sui presenti casi di pedofilia avvenuti nella scuola Olga Rovere. E l'Autorità garante della privacy ha avviato un'istruttoria sul caso: gli ispettori sono andati nella redazione della testata giornalistica per acquisire una copia del filmato.

10 luglio 2007

Trovato morto nel suo Studio l'avvocato Corso Bovio

Corriera della Sera
Il difensore dell'informazione che amava vignette e battute
«Adoro Libero Bovio fino alla settima generazione (rami cadetti compresi)» . La vignetta-dono di Staino, che accoglieva in studio nella saletta d'attesa i clienti di uno dei più stimati avvocati penalisti d'Italia, è datata 1999 ma parla(va) in effetti a nome di una folla di imputati, grandi imprese, giornali e giornalisti, giuristi, colleghi avvocati, collaboratori, magistrati, amici e persino conoscenti: tutti conquistati dalla sapienza lieve, dotta ma ironica, profonda ma disincantata, di un uomo brillante, colto, arguto, pozzo di sapienza nel suo mestiere e tuttavia puntualmente in grado di surclassare chiunque con lui si trovasse a parlare di quasi ogni angolo di scibile che a un avvocato capiti di incrociare nella varietà delle cause affrontate. Espressione della migliore «scuola» forense (giuridica ma al tempo stesso filosofica) napoletana, Bovio, nato il 5 maggio 1948, aveva nutrito la sua ecletticità personale e vivacità intellettuale in una famiglia dove il bisnonno Giovanni, filosofo scomunicato per un suo corso di filosofia, aveva battezzato i figli Libero e Corso (e il detto popolare attendeva anche Filosofia per una femmina). Un altro avo fu poeta, editore, giornalista, ma per la storia del Paese soprattutto paroliere di pietre miliari della canzone partenopea come «Reginella». E con il mito di suo padre, Giovanni, morto negli anni '70, uno dei più spettacolosi avvocati del suo tempo, forse il più celebrato per virtù oratorie, fin da giovane Corso si era dovuto misurare. Laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti nel 1971 alla Statale di Milano, Bovio non aveva mancato di pagare il suo pedaggio all'immancabile Italia del non-merito, incredibilmente venendo bocciato la prima volta che, giovanissimo, aveva affrontato l'esame da «cassazionista» (lo sarà dal 1981). «Se uno mi chiede di parlare della nostra vita qui, non posso farlo senza parlare per forza anche di Bovio», sussurrava ieri a una sua collega il pm Ilda Boccassini appena appresa la notizia. E di tutte le attestazioni piovute ieri da una (quantomai rara) unanimità di avvocati, come pure dai più altri gradi della magistratura, in questa frase c'è indirettamente una verità di 30 anni di giustizia italiana. Non c'è un processo, una vicenda, uno snodo giudiziario che non abbia visto Bovio protagonista. Gli anni del terrorismo, con la parte civile al processo per l'omicidio dell'inviato del Corriere Walter Tobagi. La parte civile, per il Comune di Milano, nei processi per la strage di piazza Fontana. Ma anche tutta la saga di Mani pulite nel 1992-1994, con mille incarichi (da Necci a Ferrè, da Troielli a Berruti) e, fra gli altri, la difesa di Silvano Larini nel momento in cui l'uomo di fiducia del leader socialista Craxi scelse di tornare in Italia, consegnarsi e rivelare i segreti ventennali del «conto Protezione ». Fino ai processi a Silvio Berlusconi, visti dall'oblò dei fondi esteri di competenza del manager Fininvest Giorgio Vanoni; a quelli di Marcello Dell'Utri; a quelli di Cesare Previti nell'interminabile sequela di dibattimenti per le tangenti Imi-Sir, dalla parte della vedova e del figlio di Nino Rovelli. E poi, più di recente, le inchieste sulle scalate bancarie, con l'iniziale difesa di Stefano Ricucci.Eppure, più di tutto, Bovio era l'avvocato per antonomasia del diritto dell'informazione, che deve alle sue cause non pochi dei propri spazi di libertà. Avvocato storico del Corriere della Sera, collaboratore di rubriche di Famiglia Cristiana e Oggi, ex consigliere nazionale dell' Ordine dei Giornalisti, per 5 anni presidente del Circolo della Stampa, quasi ogni giornalista aveva studiato sui suoi corsi. E ne aveva sperimentato, accanto alla bravura, la cortesia del gentiluomo che non si negava al cronista dell'ultimo foglio come al direttore del grande giornale. Grande oratore, impareggiabile divulgatore di ostrogoto «giuridichese», alle persone in cui ravvisava quella curiosità intellettuale che ne sosteneva la verve, era solito spedire piccole dissertazioni giuridiche che, sui temi più disparati e in un registro stilistico sfolgorante da far invidia a molti scrittori, affidava proprio solo agli amici: così, per sfizio, per gusto intellettuale, per divertimento colto. L'ultima per commentare la legge sulle intercettazioni, e provocatoriamente proporre piuttosto «l'Iput (imposta sulle pubblicazioni delle trascrizioni) di 1 euro a parola» come soluzione per «costituire un nuovo tesoretto». Ma si capiva che si era divertito di più qualche articoletto prima, quando, all'esito di una singolar tenzone gastronomico-storico-giudiziaria, aveva trasmesso agli amici «gli atti del processo alla polpetta. Speravo di vincere almeno questa causa facendo l'accusatore e mettendo il pm Robledo nell'angolo del difensore, e invece ha vinto lui...».«C'è grande stupore e costernazione», mormora il presidente dei penalisti italiani Oreste Dominioni. In studio, proprio accanto alla vignetta di Staino, Bovio aveva fatto incorniciare un quadretto di sornione humor: «Non promuovere mai lite contro un giudice. La causa sarà decisa a gradimento suo (Ecclesiastico, 8.14)» . Proprio come ieri la misteriosa «lite » interiore, intentatagli nell'anima da qualche insondabile trasalimento che, per la prima volta, l'ha sorpreso senza più parole d'arringa.
Luigi Ferrarella
Panorama.it
Si è ucciso l’avvocato milanese Corso Bovio. Dopo aver lasciato una lettera alla moglie si è sparato un colpo di pistola nel suo studio a pochi passi dal Palazzo di giustizia: 59 anni, penalista e pubblicista era iscritto all’albo degli avvocati dal 1975 e a quello dei giornalisti dal 1970. Recentemente aveva avuto come clienti, tra gli altri, Impregilo, l’immobiliarista Stefano Ricucci, l’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia e il senatore Marcello Dell’Utri, oltre a numerose testate giornalistiche. Per l’Ordine Nazionale dei Giornalisti aveva curato il manuale Diritto e informazione, redatto lo statuto dell’Istituto per la formazione al giornalismo Carlo De Martino ed era stato docente nei corsi di formazione e aggiornamento professionale. Mentre i carabinieri di Milano avviano le inevitabili indagini e colleghi e magistrati rilasciano dichiarazioni piene di dolore e sgomento, Panorama.it lo ricorda con alcuni passaggi di un suo intervento, due anni fa, alla presentazione di un libro sulla morale dei giornalisti, nel quale, con la consueta ironia e incisività, aveva parlato di correttezza di giornalisti e avvocati. Dimostrando una volta di più la sua lungimiranza.Come si fa a vedere se un giornalista è corretto? Vi racconterò un detto degli americani: “Come si capisce se un avvocato dice bugie? Basta vedere se muove le labbra”. Io dico che gli avvocati hanno un debito di verità. Se presentano un testimone poco credibile non ci guadagnano. È nell’interesse del cliente raccontare sempre la verità. E dunque dico: quando un giornalista è corretto? Quando rende un buon servizio informativo al suo cliente, il lettore. Ma il sistema deontologico dei giornalisti è forse troppo autoreferenziale. Forse siamo poco aperti al pubblico, che invece deve poter segnalare e intervenire per verificare la qualità del prodotto. Una sfida simpatica per i mezzi di informazione potrebbe essere sottoporsi al controllo dei lettori, non per castigare questo o quel giornalista, ma per dare un bollino blu di qualità all’informazione. L’etica del giornalismo, la morale del giornalista, devono aprirsi alla costante verifica del pubblico.
Rainews24
L'avvocato Libero Corso Bovio, uno dei più noti penalisti milanesi, nonché docente di giurisprudenza e autore di numerose pubblicazioni in materia, si è sucidato intorno alle 15 nel suo studio milanese, in via Podgora 13. Si è sparato con un revolver 357 Magnum, arma di grossissimo calibro. Un solo colpo in bocca. E' quanto si è potuto apprendere da fonti investigative, sulla base dei primi rilievi effettuati nello studio in cui p avvenuto il suicidio. Nessun dubbio, ormai, sulle cause della morte violenta del noto avvocato. Mistero invece, finora, sui motivi che hanno indotto Corso Bovio a togliersi la vita. Affidata al socio una lettera per la moglie Corso Bovio ha lasciato una lettera alla moglie ad un suo collaboratore, prima di togliersi la vita. Lo ha riferito il presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, Paolo Giuggioli. "Bovio - ha detto Giuggioli - è tornato oggi da Prato, dove aveva una pratica da sbrigare, con un suo collaboratore, al quale ha consegnato una missiva dicendogli: 'Dai questa lettera a mia moglie, quando ti darò indicazione io' ". Quindi, dopo essere rimasto solo nella sua stanza nello studio, si è sentito uno sparo. Dolore e incredulità a Palazzo di Giustizia "Onestamente pensare che si sia sparato è una assurdità straordinaria", ha commentato Giuggioli, a indicare di non poter credere che Bovio avesse intenzioni suicide. Una piccola folla di curiosi e addetti ai lavori si è radunata davanti allo studio dell'avvocato. "Non ci posso credere, non ci posso credere"... continua a ripetere Luigi Cerqua, presidente della prima corte d'assise di Milano. "Sono sconvolto, l'avevo sentito, per l'ultima volta, quindici giorni fa quando mi aveva inviato uno scritto in versi molto simpatico sulla tutela dei diritti degli animali". Cerqua ricorda Bovio come "un uomo di grande spirito, capace di grande umorismo. Quando sono passato di qui, ho visto la gente in strada e ho pensato ad un incidente stradale. Poi mi hanno spiegato cosa era successo: ancora non ci posso credere...".
Tgcom
Bovio, mistero sulla busta lasciata
Nessuna lettera, solo oggetti e soldi. E' giallo attorno alla morte di Libero Corso Bovio, il noto avvocato milanese suicidatosi nel suo ufficio con un colpo di pistola. In particolare, è stata smentita l'ipotesi di una lettera lasciata alla moglie per spiegare il motivo del suo gesto. La busta affidata al suo segretario, infatti, conteneva solo pochi oggetti personali e del denaro per le spese spicciole dello studio, che erano nella cassaforte.La sua morte ha provocato dolore ed enorme sconcerto. E' stata una tragedia del tutto inaspettata, e a quanto sembra del tutto imprevedibile, a metà di una giornata di lavoro come tante. Bovio, infatti, poche ore prima si era recato con uno dei suoi collaboratori a Prato per discutere un processo per corruzione. Al ritorno in via Podgora la tragedia. E' stato messo sotto sequestro lo studio, dove oltre alla pistola Magnum sono state trovate le altre armi, che probabilmente facevano parte di una collezione.Ora inquirenti e investigatori dovranno setacciare anche quel mare di carte a cui hanno messo i sigilli in quanto, tenendo conto di tutte le ipotesi, vogliono appurare se eventualmente fossero state recapitate al legale lettere minatorie.Resta un mistero il perché un grande avvocato, apparentemente senza problemi se non il super lavoro, si sia tolto la vita. Nessuno se lo sa spiegare, e pare proprio che non lo spieghi nemmeno quella busta lasciata al suo collaboratore e che in un primo momento sembrava potesse contenere una lettera destinata alla moglie.

28 marzo 2007

La guerra dei Balcani

Bosnia Where the past is another country Economist.com

Clash of the titans

VIACOM sued GOOGLE and its YOUTUBE website, claiming they had a "brazendisregard" for the copyright of video and song clips that are uploadedby YouTube's users. The two sides failed to reach a distributionagreement earlier this year and Viacom is now claiming $1 billion indamages. It is the biggest challenge yet to the ability of "new" onlinemedia to use content produced by "traditional" media companies.

Memento Napster

PI: Napster, si chiude la querelle EMI vs. Bertelsmann

File sharing sulla Bergamo Brescia

Questo:

L'Eco di Bergamo - «File sharing»: blitz della Finanza

E questo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/02_Febbraio/21/musica.shtml

24 marzo 2007

3. Diritto internazionale

Diritto internazionale

2. Diritto pubblico

2.a Diritto penale

2.a.1 Diritto penale sostanziale

2.a.2 Procedura penale

2.b Diritto amministrativo

2.b.1 Diritto amministrativo sostanziale

2.b.2 Diritto amministrativo processuale

1. Diritto civile

1.1 Diritto civile sostanziale

1.2 Diritto pocessuale civile

0. Diritto

Le basi

0.1 Filosofia e teoria del diritto

0.2 Metodo del diritto

0.3 Tecnica del diritto

0.4 Politica del diritto

Le classi: tipologia del diritto in base ai rapporti regolati

1. Diritto civile (tra persone)

2. Diritto pubblico (tra persona e Stato)

- Diritto penale

- Diritto amministrativo

3. Diritto internazionale (tra Stati)