Peppermint, la privacy vale più del diritto d'autore - LASTAMPA.it
BRUNO RUFFILLI
TORINO In Italia non sono in molti a conoscere Carl Keaton e So Phat, e nemmeno James Kakande, un altro artista della scuderia Peppermint Jam, che in Germania ha scalzato Justin Timberlake dalla cima della top ten. L'etichetta, specializzata in rap e nu-soul, da noi è nota soprattuto per l'intensa attività del suo legale rappresentante Otto Mahlknecht: sono infatti quasi 3636 gli italiani che lo scorso aprile hanno ricevuto dall'avvocato una raccomandata con la richiesta di risarcimento danni per 330 euro.
Tutti sono stati identificati grazie al lavoro della ditta svizzera Logistep, che con un software antipirateria ha rintracciato uno ad uno i computer dove le canzoni della Peppermint Jam erano registrate come file Mp3, condivisi sulle reti Peer To Peer. Poi la casa discografica ha chiesto ai vari provider internet i dati del titolare dell'utenza corrispondente all'indirizzo Ip, che normalmente è associato ad un solo nominativo. Identificato il presunto colpevole, è partita la lettera: vi si sostiene, tra l'altro, che in base all'attuale legge sul diritto d'autore l'illegittima messa a disposizione di file coperti da copyright è un reato, segnalando implicitamente che il nocciolo della questione non è nell'aver scaricato illegalmente il brano (o i brani), ma nell'averlo successivamente condiviso con altri. Conseguenze: mancato guadagno per la Peppermint Jam e i suoi artisti, possibile denuncia penale contro l'autore dell'infrazione. Così il rappresentante dell'etichetta tedesca chiede che i file vengano cancellati e i danni risarciti; si impegna, qualora la risposta fosse affermativa, a non intentare altre azioni legali contro il destinatario della missiva. Dopo le prime lettere arrivano le polemiche: nascono siti web dedicati (http://www.santapepper.com/), numerosi blogger si occupano del caso (ne scrive anche Beppe Grillo), la notizia rimbalza su giornali e televisioni. Anche Adiconsum e Altroconsumo fanno sentire la loro voce, come pure il Garante per la privacy, che si è costituito in giudizio per verificare se nella vicenda Peppermint Jam fossero stati rispettati tutti i diritti di protezione dei dati personali. Intanto, all'inizio di questo mese, arrivano le segnalazioni di nuove raccomandate, e sul web si parla di una seconda ondata di richieste di risarcimento da parte dell'etichetta di Hannover. La mossa coglie di sorpresa utenti, associazioni e autorità, dal momento che sul caso era atteso per il 18 luglio il pronunciamento del Tribunale di Roma.
E' arrivato, e non è stato favorevole: i ricorsi presentati da Peppermint Jam e da Techland (un'azienda di videogames pure cliente di Logistep) sono stati rigettati, perché la richiesta ai provider internet di fornire nomi e indirizzi degli abbonati è apparsa in contrasto con le normative che tutelano la privacy. Così sono state accolte le istanze del Garante e per ora la vicenda Peppermint è giunta ad un punto morto: si rallegrano le associazioni di consumatori, esultano i destinatari delle missive, che in massima parte non hanno pagato. Il senatore Fiorello Cortiana, della Consulta per la governance su Internet, parla sul suo blog di «spamming estorsivo», e segnala come questo pronunciamento segni un principio giurisprudenziale, per cui «anche in rete tocca alla magistratura e alle forze dell'ordine mettere in atto inchieste nel rispetto della legge». Sulla stessa linea pare muoversi anche la Ue: lo scorso venerdì, infatti, Juliane Kokott, avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, ha dichiarato che la normativa comunitaria non prevede alcun obbligo ai provider di fornire informazioni personali ai detentori dei diritti d'autore, anche quando questi sostengono che gli Ip rilevati sono di utenti che hanno commesso degli illeciti.
Tutti contenti, dunque, a parte Peppermint Jam? No: «Decisioni come quelle di questi giorni rischiano di favorire una pirateria indiscriminata», ha dichiarato Mario Allione, presidente del gruppo piccola e media industria di Fimi.
AVV: VALENTINA FREDIANI
A tutela dei propri interessi, la Peppermint ha invocato la legge 633/41 sul diritto d'autore (LDA). L'etichetta ha fatto valere l'art. 156 bis della LDA, vedendosi riconosciuto in primo luogo il diritto ad ottenere da Telecom i nominativi corrispondenti agli IP ritenuti coinvolti nella illecita condivisione. In secondo luogo, l'ordinanza emessa non ha ritenuto violata la normativa a tutela della privacy, non riconoscendo un diritto alla riservatezza all'utente: questi, infatti, nel momento in cui mette in condivisione dei file, ammette che altri possano accedere anche al proprio IP.
A ritenere ingiusta la pretesa della casa discografica e contrastare l'ordinanza 81901/2006, ci sono vari tuttavia vari appigli giuridici: a) l'art. 156 bis non è applicabile a singoli utenti ma solo a violazioni poste in essere su scala commerciale di carattere industriale o brevettale; b) l'istanza di richiesta all'Autorità competente in merito all'obbligo di esibizione di dati doveva essere giustificata, ma soprattutto proporzionata (e le modalità adottate da Peppermint appaiono carenti di proporzionalità, considerata l'invasività dell'azione); c) vi è una sostanziale violazione della privacy, laddove Peppermint ha raccolto dati personali senza alcun consenso e senza dare alcuna informativa (obbligatoria ai sensi del decreto legislativo n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali); d) i sistemi utilizzati da Peppermint non danno alcuna certezza circa l'identità effettiva del soggetto che avrebbe posto in condivisione i file protetti dal diritto d'autore.
Così, in questi giorni il Tribunale di Roma ha fatto marcia indietro, disconoscendo la legittimità della raccolta degli IP effettuata da Peppermint tramite la società Logistep, e giudicando illegittima la richiesta dei nominativi a Telecom. Risulta poi che oltre alla violazione della legge sulla privacy (dati raccolti senza consenso) la Peppermint abbia violato la normativa a tutela delle comunicazioni, ponendo in essere una condotta penalisticamente rilevante. E mentre nei Tribunali la battaglia prosegue, gli utenti che hanno ricevuto la richiesta di risarcimento si chiedono se pagare o meno. La risposta è semplice: ottemperare alle richieste di Peppermint rappresenta un'ammissione di colpevolezza, e inoltre il pagamento non mette al riparo da eventuali cause penali successive, dal momento che i reati in materia di diritto d'autore sono procedibili d'ufficio.
PRIVACY DAILY 24.06.2025
1 giorno fa