10 luglio 2007

Trovato morto nel suo Studio l'avvocato Corso Bovio

Corriera della Sera
Il difensore dell'informazione che amava vignette e battute
«Adoro Libero Bovio fino alla settima generazione (rami cadetti compresi)» . La vignetta-dono di Staino, che accoglieva in studio nella saletta d'attesa i clienti di uno dei più stimati avvocati penalisti d'Italia, è datata 1999 ma parla(va) in effetti a nome di una folla di imputati, grandi imprese, giornali e giornalisti, giuristi, colleghi avvocati, collaboratori, magistrati, amici e persino conoscenti: tutti conquistati dalla sapienza lieve, dotta ma ironica, profonda ma disincantata, di un uomo brillante, colto, arguto, pozzo di sapienza nel suo mestiere e tuttavia puntualmente in grado di surclassare chiunque con lui si trovasse a parlare di quasi ogni angolo di scibile che a un avvocato capiti di incrociare nella varietà delle cause affrontate. Espressione della migliore «scuola» forense (giuridica ma al tempo stesso filosofica) napoletana, Bovio, nato il 5 maggio 1948, aveva nutrito la sua ecletticità personale e vivacità intellettuale in una famiglia dove il bisnonno Giovanni, filosofo scomunicato per un suo corso di filosofia, aveva battezzato i figli Libero e Corso (e il detto popolare attendeva anche Filosofia per una femmina). Un altro avo fu poeta, editore, giornalista, ma per la storia del Paese soprattutto paroliere di pietre miliari della canzone partenopea come «Reginella». E con il mito di suo padre, Giovanni, morto negli anni '70, uno dei più spettacolosi avvocati del suo tempo, forse il più celebrato per virtù oratorie, fin da giovane Corso si era dovuto misurare. Laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti nel 1971 alla Statale di Milano, Bovio non aveva mancato di pagare il suo pedaggio all'immancabile Italia del non-merito, incredibilmente venendo bocciato la prima volta che, giovanissimo, aveva affrontato l'esame da «cassazionista» (lo sarà dal 1981). «Se uno mi chiede di parlare della nostra vita qui, non posso farlo senza parlare per forza anche di Bovio», sussurrava ieri a una sua collega il pm Ilda Boccassini appena appresa la notizia. E di tutte le attestazioni piovute ieri da una (quantomai rara) unanimità di avvocati, come pure dai più altri gradi della magistratura, in questa frase c'è indirettamente una verità di 30 anni di giustizia italiana. Non c'è un processo, una vicenda, uno snodo giudiziario che non abbia visto Bovio protagonista. Gli anni del terrorismo, con la parte civile al processo per l'omicidio dell'inviato del Corriere Walter Tobagi. La parte civile, per il Comune di Milano, nei processi per la strage di piazza Fontana. Ma anche tutta la saga di Mani pulite nel 1992-1994, con mille incarichi (da Necci a Ferrè, da Troielli a Berruti) e, fra gli altri, la difesa di Silvano Larini nel momento in cui l'uomo di fiducia del leader socialista Craxi scelse di tornare in Italia, consegnarsi e rivelare i segreti ventennali del «conto Protezione ». Fino ai processi a Silvio Berlusconi, visti dall'oblò dei fondi esteri di competenza del manager Fininvest Giorgio Vanoni; a quelli di Marcello Dell'Utri; a quelli di Cesare Previti nell'interminabile sequela di dibattimenti per le tangenti Imi-Sir, dalla parte della vedova e del figlio di Nino Rovelli. E poi, più di recente, le inchieste sulle scalate bancarie, con l'iniziale difesa di Stefano Ricucci.Eppure, più di tutto, Bovio era l'avvocato per antonomasia del diritto dell'informazione, che deve alle sue cause non pochi dei propri spazi di libertà. Avvocato storico del Corriere della Sera, collaboratore di rubriche di Famiglia Cristiana e Oggi, ex consigliere nazionale dell' Ordine dei Giornalisti, per 5 anni presidente del Circolo della Stampa, quasi ogni giornalista aveva studiato sui suoi corsi. E ne aveva sperimentato, accanto alla bravura, la cortesia del gentiluomo che non si negava al cronista dell'ultimo foglio come al direttore del grande giornale. Grande oratore, impareggiabile divulgatore di ostrogoto «giuridichese», alle persone in cui ravvisava quella curiosità intellettuale che ne sosteneva la verve, era solito spedire piccole dissertazioni giuridiche che, sui temi più disparati e in un registro stilistico sfolgorante da far invidia a molti scrittori, affidava proprio solo agli amici: così, per sfizio, per gusto intellettuale, per divertimento colto. L'ultima per commentare la legge sulle intercettazioni, e provocatoriamente proporre piuttosto «l'Iput (imposta sulle pubblicazioni delle trascrizioni) di 1 euro a parola» come soluzione per «costituire un nuovo tesoretto». Ma si capiva che si era divertito di più qualche articoletto prima, quando, all'esito di una singolar tenzone gastronomico-storico-giudiziaria, aveva trasmesso agli amici «gli atti del processo alla polpetta. Speravo di vincere almeno questa causa facendo l'accusatore e mettendo il pm Robledo nell'angolo del difensore, e invece ha vinto lui...».«C'è grande stupore e costernazione», mormora il presidente dei penalisti italiani Oreste Dominioni. In studio, proprio accanto alla vignetta di Staino, Bovio aveva fatto incorniciare un quadretto di sornione humor: «Non promuovere mai lite contro un giudice. La causa sarà decisa a gradimento suo (Ecclesiastico, 8.14)» . Proprio come ieri la misteriosa «lite » interiore, intentatagli nell'anima da qualche insondabile trasalimento che, per la prima volta, l'ha sorpreso senza più parole d'arringa.
Luigi Ferrarella
Panorama.it
Si è ucciso l’avvocato milanese Corso Bovio. Dopo aver lasciato una lettera alla moglie si è sparato un colpo di pistola nel suo studio a pochi passi dal Palazzo di giustizia: 59 anni, penalista e pubblicista era iscritto all’albo degli avvocati dal 1975 e a quello dei giornalisti dal 1970. Recentemente aveva avuto come clienti, tra gli altri, Impregilo, l’immobiliarista Stefano Ricucci, l’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia e il senatore Marcello Dell’Utri, oltre a numerose testate giornalistiche. Per l’Ordine Nazionale dei Giornalisti aveva curato il manuale Diritto e informazione, redatto lo statuto dell’Istituto per la formazione al giornalismo Carlo De Martino ed era stato docente nei corsi di formazione e aggiornamento professionale. Mentre i carabinieri di Milano avviano le inevitabili indagini e colleghi e magistrati rilasciano dichiarazioni piene di dolore e sgomento, Panorama.it lo ricorda con alcuni passaggi di un suo intervento, due anni fa, alla presentazione di un libro sulla morale dei giornalisti, nel quale, con la consueta ironia e incisività, aveva parlato di correttezza di giornalisti e avvocati. Dimostrando una volta di più la sua lungimiranza.Come si fa a vedere se un giornalista è corretto? Vi racconterò un detto degli americani: “Come si capisce se un avvocato dice bugie? Basta vedere se muove le labbra”. Io dico che gli avvocati hanno un debito di verità. Se presentano un testimone poco credibile non ci guadagnano. È nell’interesse del cliente raccontare sempre la verità. E dunque dico: quando un giornalista è corretto? Quando rende un buon servizio informativo al suo cliente, il lettore. Ma il sistema deontologico dei giornalisti è forse troppo autoreferenziale. Forse siamo poco aperti al pubblico, che invece deve poter segnalare e intervenire per verificare la qualità del prodotto. Una sfida simpatica per i mezzi di informazione potrebbe essere sottoporsi al controllo dei lettori, non per castigare questo o quel giornalista, ma per dare un bollino blu di qualità all’informazione. L’etica del giornalismo, la morale del giornalista, devono aprirsi alla costante verifica del pubblico.
Rainews24
L'avvocato Libero Corso Bovio, uno dei più noti penalisti milanesi, nonché docente di giurisprudenza e autore di numerose pubblicazioni in materia, si è sucidato intorno alle 15 nel suo studio milanese, in via Podgora 13. Si è sparato con un revolver 357 Magnum, arma di grossissimo calibro. Un solo colpo in bocca. E' quanto si è potuto apprendere da fonti investigative, sulla base dei primi rilievi effettuati nello studio in cui p avvenuto il suicidio. Nessun dubbio, ormai, sulle cause della morte violenta del noto avvocato. Mistero invece, finora, sui motivi che hanno indotto Corso Bovio a togliersi la vita. Affidata al socio una lettera per la moglie Corso Bovio ha lasciato una lettera alla moglie ad un suo collaboratore, prima di togliersi la vita. Lo ha riferito il presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, Paolo Giuggioli. "Bovio - ha detto Giuggioli - è tornato oggi da Prato, dove aveva una pratica da sbrigare, con un suo collaboratore, al quale ha consegnato una missiva dicendogli: 'Dai questa lettera a mia moglie, quando ti darò indicazione io' ". Quindi, dopo essere rimasto solo nella sua stanza nello studio, si è sentito uno sparo. Dolore e incredulità a Palazzo di Giustizia "Onestamente pensare che si sia sparato è una assurdità straordinaria", ha commentato Giuggioli, a indicare di non poter credere che Bovio avesse intenzioni suicide. Una piccola folla di curiosi e addetti ai lavori si è radunata davanti allo studio dell'avvocato. "Non ci posso credere, non ci posso credere"... continua a ripetere Luigi Cerqua, presidente della prima corte d'assise di Milano. "Sono sconvolto, l'avevo sentito, per l'ultima volta, quindici giorni fa quando mi aveva inviato uno scritto in versi molto simpatico sulla tutela dei diritti degli animali". Cerqua ricorda Bovio come "un uomo di grande spirito, capace di grande umorismo. Quando sono passato di qui, ho visto la gente in strada e ho pensato ad un incidente stradale. Poi mi hanno spiegato cosa era successo: ancora non ci posso credere...".
Tgcom
Bovio, mistero sulla busta lasciata
Nessuna lettera, solo oggetti e soldi. E' giallo attorno alla morte di Libero Corso Bovio, il noto avvocato milanese suicidatosi nel suo ufficio con un colpo di pistola. In particolare, è stata smentita l'ipotesi di una lettera lasciata alla moglie per spiegare il motivo del suo gesto. La busta affidata al suo segretario, infatti, conteneva solo pochi oggetti personali e del denaro per le spese spicciole dello studio, che erano nella cassaforte.La sua morte ha provocato dolore ed enorme sconcerto. E' stata una tragedia del tutto inaspettata, e a quanto sembra del tutto imprevedibile, a metà di una giornata di lavoro come tante. Bovio, infatti, poche ore prima si era recato con uno dei suoi collaboratori a Prato per discutere un processo per corruzione. Al ritorno in via Podgora la tragedia. E' stato messo sotto sequestro lo studio, dove oltre alla pistola Magnum sono state trovate le altre armi, che probabilmente facevano parte di una collezione.Ora inquirenti e investigatori dovranno setacciare anche quel mare di carte a cui hanno messo i sigilli in quanto, tenendo conto di tutte le ipotesi, vogliono appurare se eventualmente fossero state recapitate al legale lettere minatorie.Resta un mistero il perché un grande avvocato, apparentemente senza problemi se non il super lavoro, si sia tolto la vita. Nessuno se lo sa spiegare, e pare proprio che non lo spieghi nemmeno quella busta lasciata al suo collaboratore e che in un primo momento sembrava potesse contenere una lettera destinata alla moglie.