L'AGGUATO - L'ex primario fu anche vittima di un attentato, la sera del 29 novembre del 2006. Dieci colpi di pistola furono esplosi contro di lui mentre, bordo della sua Porsche Carrera nera, stava uscendo in retromarcia dal portone della clinica Dezza dove visitava tutti i pomeriggi. Tre colpi andarono a segno, alle gambe (un femore fratturato) e alle braccia. Il responsabile dell'aggressione non è ancora stato identificato. Proprio dalle indagini legate a questo agguato è emersa la storia dei soldi per essere operati subito, che ha dato origine al processo per concussione. Austoni oggi ha ricordato l'episodio: «I pm Pradella e Siciliano sanno bene quali sono le mie idee a proposito dell'identità di colui che fece quella aggressione, sono loro che dovrebbero trovare delle risposte a quel fatto. La mia vita è sempre stata molto limpida. L'unica cosa di cui sono certo è che non sia stato un mio paziente».
LE ACCUSE - Il pm Siciliano, nell'argomentare la sua richiesta di condanna, aveva fatto notare che i pazienti «non avevano alcuna possibilità di sottrarsi alle richieste indebite. La loro volontà era compressa. Non potevano autodeterminarsi perché l'oggetto del rapporto medico-paziente è la vita o la salute. E la salute è un bene non negoziabile». Dalle indagini, per l'accusa è emerso un «quadro penoso». Mentre Austoni era una «figura imponente», i pazienti «sono soggetti inermi, incapaci di difesa rispetto all'autorità alla quale debbono obbedire».
LA DIFESA DEL MEDICO - Completamente opposto il quadro dipinto da Austoni, che commenta amareggiato la sentenza. «Io andavo incontro ai pazienti e li favorivo nel loro interesse, la mia coscienza mi portava a guardare al loro interesse», si è difeso l'ex urologo e andrologo. «La corte non ha tenuto conto delle osservazioni fatte dai miei avvocati, sulla base anche della giurisprudenza, che non può esserci concussione in una struttura privata». La concussione, ha proseguito Austoni, «c'è quando tu medico in una struttura pubblica forzi il paziente per portarlo nel privato, mentre nel mio caso dal privato andavamo nel pubblico per interesse del paziente». Alla domanda se si comporterebbe allo stesso modo, tornando indietro nel tempo, Austoni risponde: «Ho sempre agito secondo coscienza e nell'interesse di seguire ed aiutare i pazienti. I testimoni in questo processo hanno parlato della mia professionaltà e sensibilità. Questo è solo il primo grado di un giudizio, sono innocente fino ad una sentenza definitiva».
12 marzo 2009