31 ottobre 2007

Quotidiano Net - Elogio delle Jene, condannate perché volevano fare il test antidroga alla Casta

Quotidiano Net - Elogio delle Jene, condannate perché volevano fare il test antidroga alla Casta

Firenze, 18 ottobre 2007 - Che Paese è questo? Parecchi dei nostri deputati vanno a Montecitorio dopo essersi fatti qualche canna o aver tirato su qualche pista di coca, però non si può dire. Anzi, si può dire ma non accertare.

E’ quanto è accaduto a due Iene (care, mitiche Iene, grazie di esistere) che nell’ottobre dello scorso anno, con la scusa di fare delle interviste erano riuscite ad impossessarsi (grazie anche a dei tamponi giustificati dal trucco per meglio apparire) del preziosissimo sudore di cinquanta parlamentari che stavano entrando alla Camera. Sudore subito sottoposto ad analisi.

Dal che venne fuori che di quei cinquanta prodi (no, questa volta Romano non c’entra nulla) sedici avevano fatto uso di stupefacenti nelle trentasei ore precedenti l’improvvisato accertamento. Dodici avevano assunto cannabis, come si legge in termini burocratici (cioè si erano fatti delle canne come si dice volgarmente) e quattro avevano tirato su delle belle (si fa per dire) piste di coca.

Scandalo, riprovazione, accuse di lesa maestà, abominio. Non per gli onorevoli un po’ fatti, per le Iene. Ma come si erano permessi quei signori di Italia 1 (Davide Parenti e Matteo Viviani - nella foto) di fare una cosa del genere? Come gli era passato per la mente di importunare in tal maniera la Casta? Pensavano forse di essere in un Paese senza privacy? No, la privacy (quando gli pare: e tutte le intercettazioni che appaiono anche sui muri del condominio?) in questo Paese esiste eccome, e così il Garante proibì la messa in onda del servizio, comunque ampiamente pubblicizzato da anticipazioni. Punto, fine della vicenda.

La giustizia nel nostro Paese, si sa, va lenta, ma talvolta arriva. Per le Iene è arrivata abbastanza velocemente tanto che qualche giorno fa hanno pensato bene, per scansare chissà quali altre complicate vicende, di patteggiare una condanna a cinque mesi e dieci giorni per violazione della privacy. Pena comunque convertibile, ci informano, in una ammenda pecuniaria.

Ma come? Invece di premiarle per aver sollevato un problemino non da poco (parlamentari in carica drogati) la magistratura ce le condanna quelle due Iene? Niente da fare, la legge è la legge. Quelle due Iene dovevano essere punite per la loro alzata d’ingegno. Una decisione esemplare per tutte le Iene a venire, se qualcuno ci volesse riprovare a sollevare questioni così delicate.

E quei parlamentari «positivi» (e magari qualcun altro)? Forse continueranno a farsi. Chi di cannabis, chi di coca. Con molta, molta privacy. Ma Bertinotti, presidente della Camera, che pensa di tutto questo? Ah, saperlo.
di Sandro Bugialli

PI: La flat sul P2P? Irreale e sbagliata

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Diritto PRIVACY: CRONACA, NO A RIFERIMENTI INDIRETTI IDENTITA’ MINORI

Diritto PRIVACY: CRONACA, NO A RIFERIMENTI INDIRETTI IDENTITA’ MINORI

(AGI) - Roma, 30 ott. - Non basta omettere il cognome per tutelare un minore, se poi nell’articolo vengono forniti particolari tali da renderlo facilmente identificabile. E’ quanto ribadisce l’Autorita’ garante per la protezione dei dati personali (relatore Mauro Paissan) nell’accogliere il ricorso di una donna che riteneva di aver subito una violazione dei propri dati e di quelli dei propri figli da parte di un quotidiano. La vicenda si riferisce ad un fatto di cronaca nel quale era coinvolto un bambino che, conteso dai genitori separati, era poi stato ricoverato in ospedale.“Motivo del ricorso della donna - spiega la newsletter settimanale del Garante - non era tanto il fatto in se’ quanto quello che nell’articolo, pur non essendo citato il cognome degli interessati, venivano forniti numerosi particolari che avrebbero facilmente permesso l’identificazione dei soggetti: citta’ in cui si e’ svolta la vicenda, nome, eta’ e particolari dettagliati sulla salute del minore, nome ed eta’ della sorella (pure minore), nomi ed iniziali del cognome dei genitori, loro professione, luogo di attuale residenza della madre”. Molti, dunque, gli elementi forniti dal giornalista sulla base dei quali sarebbe stato possibile, ad un numero significativo di persone, riconoscere la ricorrente e i suoi due figli.Il Garante riafferma che, anche quando si ricorre all’oscuramento dei nomi, “se si forniscono dettagli tali da poter identificare la persona oggetto del fatto di cronaca si lede il suo diritto alla privacy, circostanza ancora piu’ grave se si tratta di un minore”. Rigettata invece la seconda parte dell’istanza della ricorrente, nella quale si chiedeva la cancellazione dall’archivio del quotidiano delle informazioni relative ai protagonisti della vicenda e di poter conoscere l’origine delle stesse: per quest’ultima richiesta, in particolare, l’Autorita’ ribadisce che va rispettato il segreto professionale del giornalista.Il Garante ha quindi vietato al quotidiano l’ulteriore utilizzo dei dati in questione “quale misura necessaria a tutela dei diritti e delle liberta’ fondamentali degli interessati”, stabilendo, a carico della societa’ editrice, un risarcimento pari a 300 euro. (AGI)Bas

Call center, 60 multe da garante privacy ai gestori telefonici | Reuters.it

Call center, 60 multe da garante privacy ai gestori telefonici Reuters.it

MILANO (Reuters) - Ammontano ad un totale di 260mila euro le 60 sanzioni applicate dal garante della privacy a gestori di telefonia fissa e mobile sull'operato dei call center.
Le sanzioni, spiega una nota dell'Authorty, riguardano soprattutto l'attivazione di servizi non richiesti -- come cambi di operatore, linee Internet veloci, servizi aggiuntivi -- e, in misura minore, telefonate pubblicitarie indesiderate.
Il garante aggiunge che le società hanno preferito, in molti casi, pagare subito in misura ridotta, previsto per chi non impugna la contestazione della violazione.
Molte sono state le segnalazioni da parte degli utenti, relativamente ai costi e disagi legati ad un uso scorretto dei propri dati personali da parte delle società di telefonia.
Le sanzioni, spiega la nota, derivano da una serie di controlli presso i call center, da cui è emerso che gli operatori "non informavano adeguatamente le persone contattate o operavano addirittura senza dire all'utente che si stavano raccogliendo i suoi dati, per quali finalità venivano usati, se era obbligato o meno a comunicarli, quali erano i suoi diritti".
Il garante sottolinea che i call center sono obbligati ad informare con la massima trasparenza gli utenti sulla provenienza dei dati e sul loro uso e, se richiesto, di registrare la volontà dell'abbonato di non essere più disturbato.
Chi non si attiene al codice della privacy rischia una sanzione che va da 3.000 a 18.000 euro, ma che può essere aumentata sino al triplo a seconda delle condizioni economiche della società.