24 luglio 2007

Peppermint, la privacy vale più  del diritto d'autore - LASTAMPA.it

Peppermint, la privacy vale più del diritto d'autore - LASTAMPA.it
BRUNO RUFFILLI
TORINO In Italia non sono in molti a conoscere Carl Keaton e So Phat, e nemmeno James Kakande, un altro artista della scuderia Peppermint Jam, che in Germania ha scalzato Justin Timberlake dalla cima della top ten. L'etichetta, specializzata in rap e nu-soul, da noi è nota soprattuto per l'intensa attività del suo legale rappresentante Otto Mahlknecht: sono infatti quasi 3636 gli italiani che lo scorso aprile hanno ricevuto dall'avvocato una raccomandata con la richiesta di risarcimento danni per 330 euro.
Tutti sono stati identificati grazie al lavoro della ditta svizzera Logistep, che con un software antipirateria ha rintracciato uno ad uno i computer dove le canzoni della Peppermint Jam erano registrate come file Mp3, condivisi sulle reti Peer To Peer. Poi la casa discografica ha chiesto ai vari provider internet i dati del titolare dell'utenza corrispondente all'indirizzo Ip, che normalmente è associato ad un solo nominativo. Identificato il presunto colpevole, è partita la lettera: vi si sostiene, tra l'altro, che in base all'attuale legge sul diritto d'autore l'illegittima messa a disposizione di file coperti da copyright è un reato, segnalando implicitamente che il nocciolo della questione non è nell'aver scaricato illegalmente il brano (o i brani), ma nell'averlo successivamente condiviso con altri. Conseguenze: mancato guadagno per la Peppermint Jam e i suoi artisti, possibile denuncia penale contro l'autore dell'infrazione. Così il rappresentante dell'etichetta tedesca chiede che i file vengano cancellati e i danni risarciti; si impegna, qualora la risposta fosse affermativa, a non intentare altre azioni legali contro il destinatario della missiva. Dopo le prime lettere arrivano le polemiche: nascono siti web dedicati (http://www.santapepper.com/), numerosi blogger si occupano del caso (ne scrive anche Beppe Grillo), la notizia rimbalza su giornali e televisioni. Anche Adiconsum e Altroconsumo fanno sentire la loro voce, come pure il Garante per la privacy, che si è costituito in giudizio per verificare se nella vicenda Peppermint Jam fossero stati rispettati tutti i diritti di protezione dei dati personali. Intanto, all'inizio di questo mese, arrivano le segnalazioni di nuove raccomandate, e sul web si parla di una seconda ondata di richieste di risarcimento da parte dell'etichetta di Hannover. La mossa coglie di sorpresa utenti, associazioni e autorità, dal momento che sul caso era atteso per il 18 luglio il pronunciamento del Tribunale di Roma.
E' arrivato, e non è stato favorevole: i ricorsi presentati da Peppermint Jam e da Techland (un'azienda di videogames pure cliente di Logistep) sono stati rigettati, perché la richiesta ai provider internet di fornire nomi e indirizzi degli abbonati è apparsa in contrasto con le normative che tutelano la privacy. Così sono state accolte le istanze del Garante e per ora la vicenda Peppermint è giunta ad un punto morto: si rallegrano le associazioni di consumatori, esultano i destinatari delle missive, che in massima parte non hanno pagato. Il senatore Fiorello Cortiana, della Consulta per la governance su Internet, parla sul suo blog di «spamming estorsivo», e segnala come questo pronunciamento segni un principio giurisprudenziale, per cui «anche in rete tocca alla magistratura e alle forze dell'ordine mettere in atto inchieste nel rispetto della legge». Sulla stessa linea pare muoversi anche la Ue: lo scorso venerdì, infatti, Juliane Kokott, avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, ha dichiarato che la normativa comunitaria non prevede alcun obbligo ai provider di fornire informazioni personali ai detentori dei diritti d'autore, anche quando questi sostengono che gli Ip rilevati sono di utenti che hanno commesso degli illeciti.
Tutti contenti, dunque, a parte Peppermint Jam? No: «Decisioni come quelle di questi giorni rischiano di favorire una pirateria indiscriminata», ha dichiarato Mario Allione, presidente del gruppo piccola e media industria di Fimi.
AVV: VALENTINA FREDIANI
A tutela dei propri interessi, la Peppermint ha invocato la legge 633/41 sul diritto d'autore (LDA). L'etichetta ha fatto valere l'art. 156 bis della LDA, vedendosi riconosciuto in primo luogo il diritto ad ottenere da Telecom i nominativi corrispondenti agli IP ritenuti coinvolti nella illecita condivisione. In secondo luogo, l'ordinanza emessa non ha ritenuto violata la normativa a tutela della privacy, non riconoscendo un diritto alla riservatezza all'utente: questi, infatti, nel momento in cui mette in condivisione dei file, ammette che altri possano accedere anche al proprio IP.
A ritenere ingiusta la pretesa della casa discografica e contrastare l'ordinanza 81901/2006, ci sono vari tuttavia vari appigli giuridici: a) l'art. 156 bis non è applicabile a singoli utenti ma solo a violazioni poste in essere su scala commerciale di carattere industriale o brevettale; b) l'istanza di richiesta all'Autorità competente in merito all'obbligo di esibizione di dati doveva essere giustificata, ma soprattutto proporzionata (e le modalità adottate da Peppermint appaiono carenti di proporzionalità, considerata l'invasività dell'azione); c) vi è una sostanziale violazione della privacy, laddove Peppermint ha raccolto dati personali senza alcun consenso e senza dare alcuna informativa (obbligatoria ai sensi del decreto legislativo n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali); d) i sistemi utilizzati da Peppermint non danno alcuna certezza circa l'identità effettiva del soggetto che avrebbe posto in condivisione i file protetti dal diritto d'autore.
Così, in questi giorni il Tribunale di Roma ha fatto marcia indietro, disconoscendo la legittimità della raccolta degli IP effettuata da Peppermint tramite la società Logistep, e giudicando illegittima la richiesta dei nominativi a Telecom. Risulta poi che oltre alla violazione della legge sulla privacy (dati raccolti senza consenso) la Peppermint abbia violato la normativa a tutela delle comunicazioni, ponendo in essere una condotta penalisticamente rilevante. E mentre nei Tribunali la battaglia prosegue, gli utenti che hanno ricevuto la richiesta di risarcimento si chiedono se pagare o meno. La risposta è semplice: ottemperare alle richieste di Peppermint rappresenta un'ammissione di colpevolezza, e inoltre il pagamento non mette al riparo da eventuali cause penali successive, dal momento che i reati in materia di diritto d'autore sono procedibili d'ufficio.

Scalate, Procura pronta a indagare sui politici - Il Sole 24 ORE

Scalate, Procura pronta a indagare sui politici - Il Sole 24 ORE. I primi di luglio del 2005 sono giorni cruciali per l'Unipol di Giovanni Consorte, annota il Gip milanese Clementina Forleo nella richiesta di utilizzazione a fini probatori – inviata al Parlamento – delle telefonate dei politici coinvolti nelle fallite scalate ad AntonVeneta, Bnl e Rcs. Il gruppo assicurativo bolognese, in quei giorni, è a un passo dall'Opa su Bnl, che sarà comunicata agli investitori il 18 luglio. Ma la marcia di avvicinamento alla banca è ostacolata da un problema serio: gli immobiliaristi del "contropatto", che detengono il 27,5% di Bnl, fanno melina. La loro quota è decisiva per il tentativo di scalata di Unipol. Ma essi pretendono un prezzo che la compagnia non può pagare. La preoccupazione di Consorte è che gli immobiliaristi aderiscano all'offerta di scambio su Bnl lanciata circa due mesi prima dal Bbva. Nel qual caso l'Opa di Unipol naufragherebbe. Occorre dunque agire subito per convincere Caltagirone, quale rappresentante del contropatto, a cambiare idea: affinché quel 27,5% finisca alla "rossa" Unipol, a un prezzo ragionevole.Consorte, che tiene informato di ogni sua mossa il vertice dei Ds, chiede così aiuto a Massimo D'Alema e al senatore Nicola Latorre, braccio destro del presidente dei Ds. Il 6 luglio 2005 i magistrati intercettano una sua conversazione con Latorre. Lamenta Consorte: «L'ingegnere», alias Caltagirone, «e i suoi accoliti si sono defilati e vogliono vendere» al Bbva la loro partecipazione in Bnl. «Noi gli abbiamo offerto due euro e sessanta, prendere o lasciare». Ma loro – lascia intendere – non ne vogliono sapere. Poi gli riferisce di Francesco Frasca, responsabile della Vigilanza di Bankitalia, al quale bisogna «dare una mano... perché lo stanno crocifiggendo per colpa di quel maiale del Governatore. Perché Frasca è un compagno...È un uomo distrutto...E comunque è una cosa che voglio parlare con te e con Massimo, a parte». «Loro (Caltagirone e gli altri, ndr) stanno provando a rilanciare...», stanno cercando di tirare su il prezzo, «però hanno capito che non c'è spazio...Adesso il problema qual è? Queste quote le devono comprare terzi». «E certo – commenta Latorre – non potete prenderle voi». Infatti, il 27,5% del contropatto sarà ripartito tra Crédit Suisse, Deutsche Bank e Nomura con un'opzione d'acquisto a favore di Unipol. «Se (gli immobiliaristi, ndr) non accettano – prosegue Consorte – vuol dire che hanno, cosa di cui ho gli elementi, trattato con gli spagnoli...Quindi io domani ho l'incontro con loro e ti dico come va a finire». Interviene Latorre: «Ma che deve fare una telefonata Massimo...all'ingegnere?» Consorte: «È meglio che Massimo fa una telefonata. Perché, a questo punto, se le cose non vengono fatte, si sa per colpa di chi...Massimo fa una telefonata e a quel punto abbiamo le prove che questi (Caltagirone e soci, ndr) hanno lavorato su due fronti...Non abbiamo i soldi per farla...Che poi non è vero neanche quello, non è che non abbiamo i soldi per farla, è che noi non possiamo farla se no ci accusano di aggiotaggio e di insider, capito?». Quindi, a rilevare quelle quote, per conto di Unipol, debbono essere altri soggetti: le tre banche estere, appunto. Latorre capisce e lo rassicura: «Domani mattina allerto Massimo...»Ma non è solo l'ambigua posizione dei "contropattisti" a mandare su tutte le furie Consorte: «Ti volevo sottollineare – dice ancora a Latorre – che il dottor Profumo (amministratore delegato di UniCredit, ndr), non m'ha dato una mano» e così anche Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa, e Pietro Modiano, direttore generale di Sanpaolo-Imi. «Qui dentro c'è una mafietta – commenta Consorte – Imi San Paolo, Unicredito, Banca Intesa e Capitalia, che ci sta letteralmente impedendo di fare l'operazione...Se l'Unipol fa st'operazione diventa il gruppo più importante in Italia...Alla fine faremo la lista, Nico'. Questa cosa bisogna farla, perché questi stanno semplicemente lavorando, io vorrei che ti fosse chiaro, contro di noi come Ds, non contro di noi...come Unipol...Se noi facciamo...st'operazione...sicuramente gli mettiamo una zeppa per i prossimi vent'anni...Cambiano i rapporti di potere in questo Paese...Domani, entro le due, ci sentiamo...Ti dico a che punto siamo e poi vediamo se Massimo deve fare una telefonata».Il giorno successivo, il 7 luglio 2005, verso le due e un quarto, scrive Clementina Forleo, Latorre richiama Consorte il quale gli spiega le difficoltà che sta incontrando la trattativa con Caltagirone, e i due convengono che è il caso che D'Alema telefoni all'ingegnere. Poi, in serata, Latorre lo richiama per conoscere l'esito della trattativa, e Consorte gli dà finalmente la buona novella: «Ci sono tutte le potenzialità per farla (l'Opa, ndr), adesso». Gli immobiliaristi hanno accettato di vendere a Unipol il loro 27,5% di Bnl a 2,7 euro per azione. E aggiunge: «Adesso ci dovete dare una mano a trovare i soldi». Passano altre tre ore, e alle 23,18 Latorre ritelefona a Consorte; accanto a sé, questa volta, ha D'Alema. Consorte riferisce a Latorre della riunione con Caltagirone: «Con questi signori abbiamo chiuso...Devo lavorare domani e dopodomani per avere la certezza dei soldi, poi andiamo avanti». «Va bene – gli risponde Latorre –. Se vuoi ti passo Massimo, eh! Te lo passo così vi salutate un attimo adesso...». D'Alema prende il telefono: «Massimo – gli dice accorato Consorte – ti giuro, il mestiere che faccio io più si passa inosservati e meglio è...Però, con l'ingegnere abbiamo chiuso l'accordo questa sera. Nel senso che loro...ci danno tutto...Adesso mi manca un passaggio importante e fondamentale. Sto riunendo i cooperatori perché sono tutti gasati, entusiasti...gli ho detto: "però dovete darmi dei soldi"». D'Alema: «Di quanto hai bisogno ancora?». Consorte: «Mah, non di tantissimo, di qualche centinaio di milione di euro». D'Alema: «Va bene. Vai avanti, vai! Facci sognare! Vai!». Consorte: «È da fare uno sforzo mostruoso, ma...vale la pena a un anno dalle elezioni». Conclusione del giudice Forleo: «La telefonata in questione è di estremo interesse, in quanto manifesta...la complicità nell'operazione dell'on. D'Alema, oltre che dello stesso Latorre, come si è visto resi direttamente edotti della penale illiceità della stessa». Se la giunta per le autorizzazioni a procedere consentirà alla Procura di Milano di acquisire agli atti dell'inchiesta le telefonate dei politici, per i due esponenti dei Ds si profila un avviso di garanzia per presunto concorso – accanto a Consorte – nei reati di aggiotaggio e insider trading.

20 luglio 2007

MF Dow Jones - News Italia - Borsa Italiana

MF Dow Jones - News Italia - Borsa Italiana. Adusbef integra espsoto alla Procura di Milano con ipotesi di reato di truffa nel caso di Banca Italease.

Milano Finanza Interactive Edition

Milano Finanza Interactive Edition. Giappone, Murakami condannato a 2 anni di prigione per insider trading.

Gay ucciso, convivente ammesso come parte civile al processo - cronaca - Repubblica.it

Gay ucciso, convivente ammesso come parte civile al processo - cronaca - Repubblica.it

19 luglio 2007

Rignano, la procura sequestra video del Tg5 Il garante della privacy avvia un'istruttoria - cronaca - Repubblica.it

Rignano, la procura sequestra video del Tg5 Il garante della privacy avvia un'istruttoria - cronaca - Repubblica.it
I carabinieri di Roma hanno sequestrato il video trasmesso ieri sera dal Tg5 sulle perizie in corso sui bambini di Rignano Flaminio. Il sequestro è stato disposto dalla procura di Tivoli che indaga sui presenti casi di pedofilia avvenuti nella scuola Olga Rovere. E l'Autorità garante della privacy ha avviato un'istruttoria sul caso: gli ispettori sono andati nella redazione della testata giornalistica per acquisire una copia del filmato.

10 luglio 2007

Trovato morto nel suo Studio l'avvocato Corso Bovio

Corriera della Sera
Il difensore dell'informazione che amava vignette e battute
«Adoro Libero Bovio fino alla settima generazione (rami cadetti compresi)» . La vignetta-dono di Staino, che accoglieva in studio nella saletta d'attesa i clienti di uno dei più stimati avvocati penalisti d'Italia, è datata 1999 ma parla(va) in effetti a nome di una folla di imputati, grandi imprese, giornali e giornalisti, giuristi, colleghi avvocati, collaboratori, magistrati, amici e persino conoscenti: tutti conquistati dalla sapienza lieve, dotta ma ironica, profonda ma disincantata, di un uomo brillante, colto, arguto, pozzo di sapienza nel suo mestiere e tuttavia puntualmente in grado di surclassare chiunque con lui si trovasse a parlare di quasi ogni angolo di scibile che a un avvocato capiti di incrociare nella varietà delle cause affrontate. Espressione della migliore «scuola» forense (giuridica ma al tempo stesso filosofica) napoletana, Bovio, nato il 5 maggio 1948, aveva nutrito la sua ecletticità personale e vivacità intellettuale in una famiglia dove il bisnonno Giovanni, filosofo scomunicato per un suo corso di filosofia, aveva battezzato i figli Libero e Corso (e il detto popolare attendeva anche Filosofia per una femmina). Un altro avo fu poeta, editore, giornalista, ma per la storia del Paese soprattutto paroliere di pietre miliari della canzone partenopea come «Reginella». E con il mito di suo padre, Giovanni, morto negli anni '70, uno dei più spettacolosi avvocati del suo tempo, forse il più celebrato per virtù oratorie, fin da giovane Corso si era dovuto misurare. Laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti nel 1971 alla Statale di Milano, Bovio non aveva mancato di pagare il suo pedaggio all'immancabile Italia del non-merito, incredibilmente venendo bocciato la prima volta che, giovanissimo, aveva affrontato l'esame da «cassazionista» (lo sarà dal 1981). «Se uno mi chiede di parlare della nostra vita qui, non posso farlo senza parlare per forza anche di Bovio», sussurrava ieri a una sua collega il pm Ilda Boccassini appena appresa la notizia. E di tutte le attestazioni piovute ieri da una (quantomai rara) unanimità di avvocati, come pure dai più altri gradi della magistratura, in questa frase c'è indirettamente una verità di 30 anni di giustizia italiana. Non c'è un processo, una vicenda, uno snodo giudiziario che non abbia visto Bovio protagonista. Gli anni del terrorismo, con la parte civile al processo per l'omicidio dell'inviato del Corriere Walter Tobagi. La parte civile, per il Comune di Milano, nei processi per la strage di piazza Fontana. Ma anche tutta la saga di Mani pulite nel 1992-1994, con mille incarichi (da Necci a Ferrè, da Troielli a Berruti) e, fra gli altri, la difesa di Silvano Larini nel momento in cui l'uomo di fiducia del leader socialista Craxi scelse di tornare in Italia, consegnarsi e rivelare i segreti ventennali del «conto Protezione ». Fino ai processi a Silvio Berlusconi, visti dall'oblò dei fondi esteri di competenza del manager Fininvest Giorgio Vanoni; a quelli di Marcello Dell'Utri; a quelli di Cesare Previti nell'interminabile sequela di dibattimenti per le tangenti Imi-Sir, dalla parte della vedova e del figlio di Nino Rovelli. E poi, più di recente, le inchieste sulle scalate bancarie, con l'iniziale difesa di Stefano Ricucci.Eppure, più di tutto, Bovio era l'avvocato per antonomasia del diritto dell'informazione, che deve alle sue cause non pochi dei propri spazi di libertà. Avvocato storico del Corriere della Sera, collaboratore di rubriche di Famiglia Cristiana e Oggi, ex consigliere nazionale dell' Ordine dei Giornalisti, per 5 anni presidente del Circolo della Stampa, quasi ogni giornalista aveva studiato sui suoi corsi. E ne aveva sperimentato, accanto alla bravura, la cortesia del gentiluomo che non si negava al cronista dell'ultimo foglio come al direttore del grande giornale. Grande oratore, impareggiabile divulgatore di ostrogoto «giuridichese», alle persone in cui ravvisava quella curiosità intellettuale che ne sosteneva la verve, era solito spedire piccole dissertazioni giuridiche che, sui temi più disparati e in un registro stilistico sfolgorante da far invidia a molti scrittori, affidava proprio solo agli amici: così, per sfizio, per gusto intellettuale, per divertimento colto. L'ultima per commentare la legge sulle intercettazioni, e provocatoriamente proporre piuttosto «l'Iput (imposta sulle pubblicazioni delle trascrizioni) di 1 euro a parola» come soluzione per «costituire un nuovo tesoretto». Ma si capiva che si era divertito di più qualche articoletto prima, quando, all'esito di una singolar tenzone gastronomico-storico-giudiziaria, aveva trasmesso agli amici «gli atti del processo alla polpetta. Speravo di vincere almeno questa causa facendo l'accusatore e mettendo il pm Robledo nell'angolo del difensore, e invece ha vinto lui...».«C'è grande stupore e costernazione», mormora il presidente dei penalisti italiani Oreste Dominioni. In studio, proprio accanto alla vignetta di Staino, Bovio aveva fatto incorniciare un quadretto di sornione humor: «Non promuovere mai lite contro un giudice. La causa sarà decisa a gradimento suo (Ecclesiastico, 8.14)» . Proprio come ieri la misteriosa «lite » interiore, intentatagli nell'anima da qualche insondabile trasalimento che, per la prima volta, l'ha sorpreso senza più parole d'arringa.
Luigi Ferrarella
Panorama.it
Si è ucciso l’avvocato milanese Corso Bovio. Dopo aver lasciato una lettera alla moglie si è sparato un colpo di pistola nel suo studio a pochi passi dal Palazzo di giustizia: 59 anni, penalista e pubblicista era iscritto all’albo degli avvocati dal 1975 e a quello dei giornalisti dal 1970. Recentemente aveva avuto come clienti, tra gli altri, Impregilo, l’immobiliarista Stefano Ricucci, l’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia e il senatore Marcello Dell’Utri, oltre a numerose testate giornalistiche. Per l’Ordine Nazionale dei Giornalisti aveva curato il manuale Diritto e informazione, redatto lo statuto dell’Istituto per la formazione al giornalismo Carlo De Martino ed era stato docente nei corsi di formazione e aggiornamento professionale. Mentre i carabinieri di Milano avviano le inevitabili indagini e colleghi e magistrati rilasciano dichiarazioni piene di dolore e sgomento, Panorama.it lo ricorda con alcuni passaggi di un suo intervento, due anni fa, alla presentazione di un libro sulla morale dei giornalisti, nel quale, con la consueta ironia e incisività, aveva parlato di correttezza di giornalisti e avvocati. Dimostrando una volta di più la sua lungimiranza.Come si fa a vedere se un giornalista è corretto? Vi racconterò un detto degli americani: “Come si capisce se un avvocato dice bugie? Basta vedere se muove le labbra”. Io dico che gli avvocati hanno un debito di verità. Se presentano un testimone poco credibile non ci guadagnano. È nell’interesse del cliente raccontare sempre la verità. E dunque dico: quando un giornalista è corretto? Quando rende un buon servizio informativo al suo cliente, il lettore. Ma il sistema deontologico dei giornalisti è forse troppo autoreferenziale. Forse siamo poco aperti al pubblico, che invece deve poter segnalare e intervenire per verificare la qualità del prodotto. Una sfida simpatica per i mezzi di informazione potrebbe essere sottoporsi al controllo dei lettori, non per castigare questo o quel giornalista, ma per dare un bollino blu di qualità all’informazione. L’etica del giornalismo, la morale del giornalista, devono aprirsi alla costante verifica del pubblico.
Rainews24
L'avvocato Libero Corso Bovio, uno dei più noti penalisti milanesi, nonché docente di giurisprudenza e autore di numerose pubblicazioni in materia, si è sucidato intorno alle 15 nel suo studio milanese, in via Podgora 13. Si è sparato con un revolver 357 Magnum, arma di grossissimo calibro. Un solo colpo in bocca. E' quanto si è potuto apprendere da fonti investigative, sulla base dei primi rilievi effettuati nello studio in cui p avvenuto il suicidio. Nessun dubbio, ormai, sulle cause della morte violenta del noto avvocato. Mistero invece, finora, sui motivi che hanno indotto Corso Bovio a togliersi la vita. Affidata al socio una lettera per la moglie Corso Bovio ha lasciato una lettera alla moglie ad un suo collaboratore, prima di togliersi la vita. Lo ha riferito il presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, Paolo Giuggioli. "Bovio - ha detto Giuggioli - è tornato oggi da Prato, dove aveva una pratica da sbrigare, con un suo collaboratore, al quale ha consegnato una missiva dicendogli: 'Dai questa lettera a mia moglie, quando ti darò indicazione io' ". Quindi, dopo essere rimasto solo nella sua stanza nello studio, si è sentito uno sparo. Dolore e incredulità a Palazzo di Giustizia "Onestamente pensare che si sia sparato è una assurdità straordinaria", ha commentato Giuggioli, a indicare di non poter credere che Bovio avesse intenzioni suicide. Una piccola folla di curiosi e addetti ai lavori si è radunata davanti allo studio dell'avvocato. "Non ci posso credere, non ci posso credere"... continua a ripetere Luigi Cerqua, presidente della prima corte d'assise di Milano. "Sono sconvolto, l'avevo sentito, per l'ultima volta, quindici giorni fa quando mi aveva inviato uno scritto in versi molto simpatico sulla tutela dei diritti degli animali". Cerqua ricorda Bovio come "un uomo di grande spirito, capace di grande umorismo. Quando sono passato di qui, ho visto la gente in strada e ho pensato ad un incidente stradale. Poi mi hanno spiegato cosa era successo: ancora non ci posso credere...".
Tgcom
Bovio, mistero sulla busta lasciata
Nessuna lettera, solo oggetti e soldi. E' giallo attorno alla morte di Libero Corso Bovio, il noto avvocato milanese suicidatosi nel suo ufficio con un colpo di pistola. In particolare, è stata smentita l'ipotesi di una lettera lasciata alla moglie per spiegare il motivo del suo gesto. La busta affidata al suo segretario, infatti, conteneva solo pochi oggetti personali e del denaro per le spese spicciole dello studio, che erano nella cassaforte.La sua morte ha provocato dolore ed enorme sconcerto. E' stata una tragedia del tutto inaspettata, e a quanto sembra del tutto imprevedibile, a metà di una giornata di lavoro come tante. Bovio, infatti, poche ore prima si era recato con uno dei suoi collaboratori a Prato per discutere un processo per corruzione. Al ritorno in via Podgora la tragedia. E' stato messo sotto sequestro lo studio, dove oltre alla pistola Magnum sono state trovate le altre armi, che probabilmente facevano parte di una collezione.Ora inquirenti e investigatori dovranno setacciare anche quel mare di carte a cui hanno messo i sigilli in quanto, tenendo conto di tutte le ipotesi, vogliono appurare se eventualmente fossero state recapitate al legale lettere minatorie.Resta un mistero il perché un grande avvocato, apparentemente senza problemi se non il super lavoro, si sia tolto la vita. Nessuno se lo sa spiegare, e pare proprio che non lo spieghi nemmeno quella busta lasciata al suo collaboratore e che in un primo momento sembrava potesse contenere una lettera destinata alla moglie.