23 dicembre 2008

Macchè privacy (da www.lastampa.it)

BRUNO TINTI
Ormai è un riflesso pavloviano: si apre un’indagine su qualche esponente politico e parte la campagna antintercettazioni.

Che vanno abolite o al massimo consentite solo per reati di terrorismo e mafia; concesse solo da un collegio di tre (al momento ma non si sa mai, magari cinque o forse sette sarebbe meglio) giudici che possano valutare con imparzialità la richiesta del PM, che non sia persecutoria; e che assolutamente non finiscano sui giornali, nemmeno quando siano diventate pubbliche e ne sia legittima la conoscenza.

La novità di questi giorni è che la linea dura, anzi durissima, è sostenuta solo dal Presidente del Consiglio, che in effetti di queste cose se ne intende; i suoi alleati (e anche l’opposizione) qualche distinguo sui reati per i quali le intercettazioni possono essere consentite lo propongono. Ancora una volta, nessuno si chiede quali sono i veri motivi per i quali ai politici viene la schiuma alla bocca quando si parla di intercettazioni. Nessuno ha sostenuto che le intercettazioni non servono per scoprire i reati. Ed è ovvio: si tratta dell’unico strumento di indagine possibile quando vi è una convergenza di interessi tra il cittadino (che corrompe) e il politico (che si fa corrompere), sicché confidare nel pentimento dell’uno o dell’altro è come credere a Babbo Natale. Durante l'estate hanno raccontato la storiella dell’eccessivo costo e dell’eccessivo numero delle intercettazioni. Ma si trattava di informazioni false: i 300 milioni (su 7 miliardi del bilancio della Giustizia) comprendevano le somme pagate ai periti e consulenti del PM, per le missioni della polizia giudiziaria, le trascrizioni degli interrogatori e via dicendo. E comunque, se le intercettazioni si pagano troppo, è colpa del legislatore che non prevede per i gestori telefonici il solo rimborso del costo sostenuto. Quanto al numero, è stato necessario informare il ministro della Giustizia che le persone intercettate sono poche centinaia e non migliaia. Alla fine si sono attestati sulla linea della riservatezza violata: non è giusto che, per scoprire qualche reato in più, venga violata la privacy dei cittadini italiani. E questa, al momento, è la tesi prevalente.

Anche questa tesi è falsa. La privacy dei cittadini italiani non corre alcun rischio. Prima di tutto per la maggior parte dei reati le intercettazioni non sono possibili oppure non sono utili; chi ruba al supermercato, chi picchia la moglie, chi lascia la macchina in sosta con il tagliando falsificato non viene intercettato. E poi l’interesse a rendere note le intercettazioni che riguardano il comune cittadino è pari a zero. Non si spreca spazio e carta per raccontare i fatti di una persona qualunque. La «privacy violata» è quella di un paio di migliaia di politici. E allora chiediamoci: sapere che qualche politico appoggia qualche banchiere, che qualche amministratore pubblico favorisce qualche imprenditore, che qualche dirigente pubblico deve la sua nomina all’amicizia di qualche ministro; non è necessario in uno Stato democratico? E, attenzione, saperlo oggi, quando il fatto risulta dalle stesse parole dei protagonisti, e non fra 10 anni, quando ci sarà la sentenza di prescrizione della Corte di Cassazione e il colpevole (prescritto) potrà consegnare ai giornali la sua proterva dichiarazione di innocenza «finalmente» accertata. Ma chiediamoci anche: se si trattasse di fatti che non costituiscono reato e che però danno la misura della statura etica e politica di chi appartiene alla classe dirigente, non sarebbe bene conoscerli? Io facevo il Procuratore della Repubblica; se si fossero intercettate mie telefonate con qualche mafioso che mi invitava con regolarità nella sua riserva di caccia e che mi ospitava a casa sua, non avreste voluto saperlo? Non avreste voluto sapere che tipo era quel magistrato che aveva il potere di avviare un processo nei vostri confronti? E non è, allo stesso modo, necessario che i cittadini sappiano che razza di gente li governa?

E infine. Se anche la risposta a queste domande fosse: no, non è necessario, anzi non è giusto; davvero pensate che la tutela di questa presunta privacy valga la certezza dell’impunità per i reati commessi abitualmente da una classe politica per cui etica e legge sono solo fastidiose astrazioni?