«Foto porno di bimbi nel pc di Alberto» Corriere della Sera
VIGEVANO (Pavia) — Un altro giorno da dimenticare per Alberto Stasi. Dopo i sospetti e i dubbi che gli hanno cucito addosso l'etichetta di presunto assassino, ieri un'altra accusa, un'ipotesi infame: detenzione e divulgazione di materiale pedo-pornografico, un reato punibile con la reclusione da uno a 5 anni. Secondo gli investigatori è la possibile chiave per la svolta del delitto di Chiara Poggi, uccisa la mattina del 13 agosto a Garlasco. Per Alberto l'ennesimo macigno che arriva proprio quando, a malapena, era riuscito a riprendersi la vita di sempre: gli studi, le uscite con gli amici, la prospettiva di un Natale quasi normale.La mossa della pm Rosa Muscio è scattata, a sorpresa, alle 15,20. Alberto, nascosto dietro al cappuccio del suo piumino verde-beige, è entrato in Procura a Vigevano accompagnato dai suoi tre avvocati. Lui, che da tre giorni sapeva di dover comparire per la quinta volta davanti al magistrato (senza conoscerne tuttavia il motivo), è rimasto impietrito leggendo i due distinti capi d'imputazione che gli venivano contestati. Il più grave: divulgazione «per via telematica, attraverso il software "e-mule", di materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni 18». In particolare due immagini e un filmato che ritraevano «minori nudi » e «in atti sessuali con altri minori e/o adulti»; fatto che sarebbe stato commesso tra il 6 e il 17 dicembre dello scorso anno. Poi, dicono le carte, Alberto si sarebbe «procurato» o avrebbe «comunque detenuto » anche altro materiale pedopornografico, scaricato sia sul suo computer Compaq (13 fotografie e 4 filmati), sia sulla chiavetta Usb Compass (dove sono stati rintracciati altri 5 filmati). Davanti al magistrato Alberto Stasi si è limitato a scuotere la testa. Poi, dietro consiglio del professor Angelo Giarda, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Alle 16.20 il ritorno a casa.
Le tracce delle immagini che, a detta di chi le ha viste, ritraevano in atteggiamenti intimi anche ragazzini in tenera età, erano state trovate dagli esperti informatici del Ris di Parma durante le analisi del computer di Alberto. E il risultato, inedito, era stato scritto nero su bianco nella relazione finale depositata il 12 dicembre in Procura. Da ieri gli avvocati del giovane si sono chiusi nel silenzio. «Desideriamo sapere come sono state effettuate le analisi del computer», avevano però anticipato nei giorni scorsi, promettendo battaglia sulla validità della prova in sede di giudizio. Schermaglie tra accusa e difesa che non ruotano soltanto intorno a quel pc. Ci sono le «scarpe pulite», ad esempio. Ieri, dalle 9 del mattino fino a sera, i carabinieri sono tornati nella villetta del massacro con un tecnico nominato dalla Procura per ulteriori rilievi. Un ingegnere di Torino è stato incaricato di eseguire una serie di accertamenti per provare che Alberto non sarebbe mai potuto uscire da villa Poggi con le suole delle scarpe pulite (così come è avvenuto).
Una perizia della difesa, invece, dovrà dimostrare l'esatto contrario. Infine, i pedali della bicicletta su cui il Ris ha trovato tracce di Dna di Chiara Poggi. Per l'accusa è quasi ovvio che su quei pedali ci sia il sangue della vittima, ma l'ipotesi viene ribaltata dagli avvocati di Alberto: «Siamo in possesso di nuovi elementi— precisa il professor Giarda —. Abbiamo la certezza quasi scientifica che quelle tracce non sono di natura ematica». Certo adesso, dopo le accuse di ieri, non è quel Dna a far chiudere la bocca ai legali. E a tormentare, ancora una volta, le notti di Alberto.
Erika Camasso21 dicembre 2007
PRIVACY DAILY 24.06.2025
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